Zanta Sede. L’ingerenza d’Oltretevere e la sottomissione delle coscienze

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La struttura istituzionale e dogmatica del cattolicesimo tradizionale osteggia a oltranza ogni sussulto di configurazione autonoma dell’etica.

Una volta ancora siamo costretti a tenere conto di pronunciamenti vaticani che ammantano di valenza giurisdizionale un pertinace moralismo e un’indebita e inaccettabile ingerenza in questioni di pertinenza del Parlamento italiano. Nello specifico non è dato di potersi esprimere, dacché la nota della Segreteria di Stato vaticana non risulta accessibile. Vorrei però proporre una riflessione di più ampio respiro, mediante cui mettere in risalto la gravità di alcuni atteggiamenti, che inducono in chi scrive il sospetto che la menzione relativa alla “religione di Stato” omessa nella revisione di Patti Lateranensi rappresenti più una correzione de iure che non de facto.



L’Italia, almeno nominalmente, è uno Stato laico e, in ragione di ciò, l’iter parlamentare delle sue leggi non deve sottostare al ricatto, tacito o esplicito, di alcuna istituzione religiosa. Per quel che attiene al decreto di legge Zan, peraltro, è da rimarcare il fatto che esso non risulti in alcun modo lesivo dei diritti della cosiddetta “famiglia tradizionale”, che non abbisogna di paladini a difesa dei suoi baluardi, dacché non è esposta ad attacchi o (sempre soltanto presunti) pericoli.

Il problema, a ben guardare, è di tutt’altra natura, e concerne l’inveterata abitudine vaticana all’omologazione, a quella reductio ad unum di cui è costellata la storia politica e dogmatica d’Oltretevere. Le conseguenze più nefaste di questo “pensiero unico” sono principalmente due: in primis l’estromissione del dissenso, ancor più inviso all’autorità se argomentato. In seconda istanza l’eteronomia del pensiero, in particolare nella sua articolazione etica, che viene richiesta ai fedeli alla stregua di un vero e proprio atto di “genuflessione morale e intellettuale”, allo scopo di mantenerli in quel perenne stato di minorità dal cui groviglio Kant sosteneva che soltanto l’uso di una ragione libera si sarebbe rivelato in grado di districarci.



La struttura istituzionale e dogmatica del cattolicesimo tradizionale osteggia ad oltranza ogni sussulto di configurazione autonoma dell’etica, che è un processo che prende forma dal raffronto costante con istanze sociali e culturali inedite: pietrificarlo in un sistema che intenda codificarlo a priori e una volta per tutte, rappresenta un atto di protervia, che cristallizza ciò che per sua stessa natura è dinamico e mortifica ogni tentativo che prenda le mosse dall’articolazione di una complessità in ultima istanza irriducibile.



Ogni modulazione di un preteso “pensiero unico” non può che affermarsi inculcando princìpi che istigano alla sottomissione delle coscienze, quelle stesse che lo sviluppo di un pensiero laico risveglia e rende indomite. Quelle stesse che il Parlamento di uno Stato democratico deve difendere strenuamente da ogni ingerenza indebita che intenda metterne a repentaglio l’autonomia e l’inviolabilità.