Roma, Amazon compra ex deposito Atac. All’insegna del “privato è bello”

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Anziché restituire alla cittadinanza un bene pubblico, vince ancora una volta la logica del profitto.

La vicenda della svendita dell’ex rimessa Atac di piazza Ragusa (quartiere Tuscolano, Roma) consente di ricostruire la scomparsa della città pubblica a favore dei fondi immobiliari o, nel caso specifico, dei colossi dell’e-commerce come Amazon. L’ex rimessa risale al 1927, quando l’impresa privata Servizi trasporto automobilistici (Sta), tentando di inserirsi nel mercato dei trasporti urbani della capitale, ne inizia la costruzione. Poco più di un decennio dopo, l’edificio viene rilevato dall’Atac, l’azienda municipalizzata dei trasporti pubblici della Capitale. Siamo nella fase di ampliamento della sfera pubblica. Pubblico è meglio, possiamo sintetizzare.



La seconda fase inizia negli anni Novanta ed è invece caratterizzata dalla visione opposta. Il pubblico deve cedere il passo all’iniziativa privata. In quegli anni (sindaco Francesco Rutelli e assessore alla mobilità Walter Tocci) viene privatizzata la rete di trasporto nelle periferie romane: nasce Tpl, Trasporti pubblici locali. Sta qui l’origine strutturale del debito che l’Atac accumula nel tempo: non esiste più una società unitaria che programma l’evoluzione del trasporto pubblico favorendo il cambiamento modale (ancora oggi più del 60% degli spostamenti dei romani avviene su gomma).

La cultura della privatizzazione neoliberista è poi accompagnata da due ulteriori fattori tipicamente locali. Il primo è l’anarchia urbanistica che ha creato una città immensa e frammentata in cui è difficile raggiungere molte zone delle periferie. Il trasporto pubblico costa troppo perché la città è cresciuta nel segno della speculazione. La seconda è il malaffare politico che ha visto negli anni avvicendarsi alla guida dell’Atac personaggi di dubbia competenza che hanno aggravato la situazione debitoria.



Nel 2018, l’amministrazione 5Stelle – che aveva vinto le elezioni con la promessa di riportare le competenze nelle aziende municipalizzate – a causa dell’enorme debito accumulato da Atac sottoscrive un concordato preventivo che stabilisce l’obbligo di vendere i gioielli di famiglia, nella fattispecie i depositi di autobus più centrali (piazza Ragusa al Tuscolano, Bainsizza a Prati, Valco san Paolo a due passi dall’omonima basilica) dove la rendita urbana viaggia su valori altissimi.

Il quadro della disfatta pubblica è completato dal fatto che le procedure di vendita non vengono svolte in house, cioè dall’ente pubblico, o affidate a società pubbliche di grande competenza, come ad esempio Roma Metropolitane, avviate invece al fallimento. Vengono affidate alla mano del privato, nel caso in specie la società YardRe.





In circa 90 anni siamo dunque passati da “pubblico è bello” al trionfo del privato. Con la conseguenza che è la città intera a rimetterci. Per due motivi. Il primo è economico. Amazon acquisterà un edificio di enorme valore – le stime degli anni scorsi parlavano almeno di 15 milioni di euro – per 10,5 milioni: circa 700 euro al metro quadrato, quando i valori immobiliari della zona viaggiano sui 4 mila euro! Certo si deve calcolare l’investimento per recuperare l’immobile, che non potrà superare però i 2 mila euro a metro quadrato. E chi si metterà in tasca la cospicua parte residua? Amazon naturalmente. È uno scandalo intollerabile e lo Stato deve far valere il diritto di prelazione nella vendita dell’immobile: è ancora possibile.

Il secondo motivo è urbanistico. In un quartiere ad altissima densità abitativa con pochi servizi di qualità, si destina l’immobile a deposito commerciale. Tale destinazione non sarebbe consentita dal piano regolatore, ma la vendita avviene con la possibilità di variante automatica. Alla faccia delle regole. Da anni i cittadini hanno avanzato proposte per l’uso pubblico di quel bene. Sono stati traditi. Del resto, a pochi metri di distanza, sulle aree ferroviarie adiacenti alla stazione Tuscolana, sta per essere avviata dalla giunta Raggi un’altra speculazione immobiliare. Per pudore, quella speculazione è stata declinata in lingua inglese e si chiama “Reinventing Cities”. Altro cemento a scapito della vivibilità. Privato è bello produrrà una città da incubo.

[Foto Facebook – Scup Sportculturapopolare]