Carriera Alias: l’assalto ai diritti del movimento Pro-vita

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Un numero sempre maggiore di atenei e di scuole sta adottando la Carriera Alias. Ma il movimento Pro-Vita ha deciso che non va bene.

Un numero sempre maggiore di atenei e di istituti scolastici superiori sta adottando la cosiddetta Carriera Alias. Cos’è nello specifico? È la possibilità, per chi abbia iniziato un percorso di transizione di genere, di scegliere un nome di adozione al posto del dead name, cioè quello assegnato alla nascita. Non è uno strumento per imporre una volontà né, figuriamoci!, l’affermazione di un capriccio, quanto, piuttosto, qualcosa che va nella direzione di consentire a chi vive una condizione di disagio di poterlo attenuare, facendosi riconoscere col nome di elezione. Sembra una questione di buon senso e di civiltà, eppure –  perché c’è un eppure pesante quanto un macigno – ci sono associazioni come i movimenti Pro-vita & famiglia che stanno facendo una battaglia per fermare il cammino dei diritti, negando alle persone transgender tale opportunità.
Stanno arrivando infatti a moltissimi dirigenti scolastici lettere di diffida da parte dello stesso movimento pro-vita ad applicare un regolamento che disciplini la materia. È necessario sottolineare che di solito una tale scelta del Collegio dei Docenti è conseguente alla richiesta di genitori che si fanno interpreti della volontà della figlia, del figlio o – se maggiorenni – degli studenti stessi. In molte università tale regolamento è vigente da anni; ultimamente si sta diffondendo anche negli istituti superiori. L’attivazione della Carriera Alias avviene fornendo una comunicazione firmata in cui si dichiara che la studentessa, lo studente hanno un’identità̀ diversa da quella assegnata alla nascita in base al sesso biologico e chiedendo che venga rispettata e citata secondo il nome di elezione. Se una persona si chiama Angela ma si percepisce come Angelo, chiederà, dunque, semplicemente di essere chiamata col nome scelto e indicata col pronome maschile. La carriera Alias ha validità finchè non si recede dalla richiesta e ha valore all’interno del tessuto scolastico. È modificato il nome nel registro elettronico, negli elenchi e nei documenti interni alla scuola. Quelli non ufficiali. Lo scopo è far vivere chi sta affrontando un percorso difficile in un ambiente sereno, attento alla tutela della privacy e al diritto di ogni persona di essere riconosciuta nel proprio genere espresso, idoneo a favorire rapporti interpersonali improntati alla correttezza ed al reciproco rispetto delle libertà e dell’inviolabilità̀ della persona.



Se la scuola cerca di rimuovere una situazione che crea disagio a uno studente o a una studentessa questo avverrà non solo nell’interesse del singolo ma a vantaggio di tutta la comunità educante che non può non arricchirsi dei valori di solidarietà e di rispetto che vengono espressi da tale scelta.
Il bisogno di essere riconosciuti è un bisogno essenziale dell’essere umano: chi vive in situazione di varianza, invece, si sente spesso vittima di pregiudizi, di stereotipi che, incapsulandolo in un’immagine che è quella canonizzata, rischiano di far “sentire sbagliato” chi non vi si riconosce.
Se vogliamo che la scuola non diventi un fattore di rischio per chi è diverso, se vogliamo farne un luogo di autentica inclusione e non quello dove si vivono estraneazione, violenza e bullismo è necessario fare un salto di qualità nel modo di intendere le relazioni interpersonali e nel rispetto del senso di percezione del sé. Un regolamento come quello della Carriera Alias può aiutare chi ne usufruisce a vivere con minore angoscia, discriminazioni e stress emotivo. Senza avere, d’altronde, nessun riflesso negativo sugli altri, anzi. Non si capisce, perciò, come il fatto di chiamare qualcuno con il nome scelto possa creare difficoltà all’ambiente scolastico, mentre un vero e proprio ‘misgendering’, cioè la forma di violenza attraverso il linguaggio, rischia di lasciare tracce profonde sulla persona interessata, in quanto diventa un modo indiretto per delegittimarne l’autenticità dell’identità.

Non è un concetto difficile da capire, eppure le lettere di diffida del Movimento pro-vita, ovviamente articolate e giuridicamente motivate, hanno il sapore amaro di un mondo che non si pone il problema del sentire l’altro, che si chiude in una visione sclerotizzata e impermeabile alla tenerezza di chi soffre condizioni di diversità, di chi utilizza il rigore del linguaggio del diritto come cavillo per immobilizzare la fluidità della vita e della crescita e per intimidire quei dirigenti e quei docenti illuminati che non vogliono essere adoratori passivi di una tradizione negatrice del progresso ma si pongono come forze vitali e lungimiranti.
Un mondo nuovo è possibile, ma ha bisogno di coraggio e di menti aperte e solidali. Soprattutto se in questo mondo nuovo non si negano diritti ad altri né si comprimono libertà ma si allarga invece il loro esercizio a chi ne vive la frustrazione.





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