Confessioni di una donna in cerca di lavoro

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“Come non perdersi in un bicchier d’acqua” di Angie Cruz (Solferino) ci svela cosa significa perdere il lavoro a cinquant’anni.

«Quando La Escuelita mi ha consigliato di iscrivermi a questo programma per fare pratica con i colloqui ho detto: Colloqui per cosa? E la Profesora ha risposto: Per tutti i lavori per cui farai domanda! Ah! Detto tra noi, è molto ottimista, quindi è difficile fidarsi di lei. Sia sincera: crede davvero che ci sia lavoro per me? Sul serio? Non ho mai sentito di persone che trovano lavoro senza la dritta giusta».



“Come non perdersi in un bicchier d’acqua” di Angie Cruz (Solferino) ci svela cosa significa perdere il lavoro a cinquant’anni, a causa della Grande Recessione. Lo sa bene Cara Romero, detta “la doctora” perché sente l’odore delle malattie. Rimettersi in gioco nella Grande Mela mentre molti hanno perso il lavoro e vedono un’occupazione sicura come un miraggio, barcamenarsi nella giungla dell’esistenza, tentare il tutto per tutto negli uffici di collocamento, svelarsi a una consulente del lavoro sconosciuta di cui non si sa niente: a partire da questi presupposti scopriamo una vita non facile ma che trasuda verità.

Angie Cruz, nata a New York nel 1972 ci racconta in maniera diretta, condita da un leggero slang ispanico (il tutto ottimamente tradotto da Lucia Fochi), la confessione di una donna che diventa emblema di tutte coloro che devono rimboccarsi le maniche e lanciarsi in una dimensione non sempre accogliente. È fuggita dal suo Paese, ha un’infanzia non certo ovattata, trascorsi sentimentali burrascosi: è una donna che però non chiede mai per non disturbare e resta profondamente colpita se arriva inaspettato qualche gesto di gentilezza.



Conosciamo così, attraverso una narrazione in prima persona, la sua amica Lulu, il figlio Fernando presente-assente, da lei cresciuto in barba a ogni ostacolo, sua sorella Angela, le sue complesse vicende sentimentali, la stretta di una burocrazia che se ne frega delle esigenze di chi arranca. Affitti, bollette, lavori persi, ingerenze, affetti che si dileguano. Eppure la speranza non muore mai e talvolta si manifesta attraverso il vaticinio di una medium. E il buonsenso che la fa scegliere e che le fa superare un patriarcato in cui purtroppo la sua famiglia è rimasta irrimediabilmente impantanata. Tremendo il ricordo di quella notte in cui scappò dal marito violento, col figlio piccolo in braccio:

«…sono scappata a casa di mia madre nel cuore della notte; un chilometro e mezzo con un bimbo in braccio. Ero terrorizzata.





Ho cercato di aprire il cancello, ma era chiuso.

Ho urlato e urlato di aprirmi il cancello.

Fernando pesava. Faceva così caldo che sembrava un forno. Le zanzare mi mangiavano viva. Angela, che aveva tredici anni, si è affacciata alla finestra a guardare, ma non poteva fare niente. Poi Mamá ha aperto la porta ed è uscita.

Cos’hai fatto?, ha detto.

Mamá, aprimi il cancello.

Va’ a casa.

Mamá, ti prego, ho implorato.

Va’ a casa da tuo marito. È un brav’uomo, ha detto.

Mamá, non posso tornare da lui. Mi uccide.

Forse te lo meriti, mi ha detto ed è tornata dentro.

Mamá mi ha lasciata fuori a dormire su una seggiola di plastica, come una senzatetto. Ma lo sa cosa si prova quando si ha una mamma che ti rimanda indietro da un salvaje? Lo sa quanto è stata lunga quella notte per me? Da sola, con Fernando in braccio?».



Cara Romero è una guerriera, una protagonista piena di passione, genuina, grintosa, dal cuore grande. Non una di quelle che passano il tempo a leccarsi le ferite, anzi: una che cerca la luce (e infatti ama l’aurora) e – anche quando ha bisogno – ti tende una mano. Bastano davvero poche pagine per volerle bene.