“Sotto il velo c’è sempre una donna, dietro però c’è sempre un uomo”. Il nuovo libro di Giuliana Sgrena

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Recensione dell’ultimo libro della giornalista Giuliana Sgrena, “Donne ingannate – il velo come religione, identità e libertà”.

“Il velo islamico è il simbolo dell’oppressione della donna o un’espressione della sua libertà? Io non ho dubbi e credo di poterlo dimostrare in questo libro: è sicuramente il simbolo dell’oppressione, anche se in forme e gradazioni diverse. La libera scelta di portare l’hijab, invocata in nome della religione, della tradizione e/o dell’identità, in fondo risponde solo all’ossessione maschile del corpo della donna”.



È l’incipit del nuovo libro di Giuliana Sgrena, destinato come sempre a suscitare scalpore e dibattito, specialmente a sinistra e nel femminismo: Donne ingannate – Il velo come religione, identità e libertà (il Saggiatore) che sono felice di presentare in Sardegna nell’ambito della settimana #UnaMareadiDonneinSardegna dal 21 al 29 maggio, è un testo denso di informazioni, indispensabili per evidenziare le contraddizioni di chi continua a recitare il mantra della libera scelta  e dell’autodeterminazione nell’indossare i vari strati di copertura del corpo femminile secondo presunti dettami religiosi nell’Islam.

Donne ingannate – Il velo come religione, identità e libertà va letto con attenzione perché solo attraverso la puntuale conoscenza del significato politico che il velo ha assunto nella storia recente è possibile capire la pericolosità della manipolazione dell’informazione sui paesi islamici e l’altrettanto pericolosa sottovalutazione del processo di islamizzazione che rischiano anche i paesi occidentali che si dichiarano laici.



Il libro si sofferma su tre aspetti, come Sgrena indica nella introduzione: l’uso del velo in rapporto alla tradizione e all’emancipazione delle donne, poi vanificata dalla reislamizzazione; l’identità, a partire dall’Iran dove è stato Khomeini a dare al chador una valenza identitaria, il cui rifiuto è costato la vita a Saman, Hina e Sana, tre ragazze italiane di origine pakistana; infine il rapporto tra velo e libertà attraverso le campagne lanciate sui social, ormai un importante strumento di comunicazione in grado di superare gli ostacoli costituiti da regimi autoritari.

Quello che appare come straniante in un dibattito pubblico che solo in Francia coniuga come fondamentale la stretta connessione tra diritti umani universali e libertà dalle coperture del corpo femminile declinate in vario modo (velo, hijab, burka, burkini, modest fashion e così via) è che, scrive Sgrena “spesso a difendere l’uso del velo e del burkini sono femministe occidentali che ovviamente non li indossano. Un sussulto di indignazione il femminismo a livello internazionale l’ha avuto con il ritorno al potere dei taleban in Afghanistan e l’imposizione del burqa o del niqab. Il niqab è solo l’espressione più evidente della totale segregazione delle donne, che riguarda anche il lavoro, lo sport, lo studio. Pochi mesi dopo, nonostante le notizie che ci arrivano da quel paese siano sempre più drammatiche, il tema sembra già archiviato. Forse perché il burqa (o niqab) non è visto come un’estremizzazione violenta del ‘dovere’ della donna di salvare l’onore del maschio, che non è tenuto a controllare la propria libido, perché è lei l’essere impuro”.





Altro nodo difficile ma indispensabile da dipanare, sul quale Sgrena è chiarissima, è l’atteggiamento di presunto ‘politically correctness’ di parte delle istituzioni europee, che evidentemente non vogliono incorrere in critiche di presunto razzismo; come ancora fa notare Sgrena “l’uso del velo in Occidente sembra ormai sdoganato se persino il Consiglio d’Europa lancia una campagna con lo slogan ‘la libertà è nell’hijab’, poi bloccata dall’intervento della Francia, determinata nella difesa della sua laicità. Esprimendosi contro il velo si rischia di essere accusati di islamofobia. Il relativismo culturale porta a situazioni paradossali: mentre in Occidente si difende l’uso del chador, in Iran le donne rischiano la prigione togliendosi il velo; in Occidente si difende la libertà di portare il burkini mentre sulle spiagge algerine le donne rivendicano il diritto di portare il bikini”.



Donne ingannate – Il velo come religione, identità e libertà è un testo che va diffuso, studiato e portato nelle scuole e nelle università, dove in Italia è frequente una visione relativista che, di fatto, insidia lo stesso principio di laicità delle istituzioni: insieme agli altri testi di Sgrena sul tema, come Dio odia le donne e Rivoluzioni violate, solo per citare gli ultimi, costituisce uno strumento prezioso per alimentare il pensiero critico laico in una fase come quella attuale che, ogni giorno, vede attacchi sempre più forti e preoccupanti ai diritti civili universali delle donne nel pianeta ad ogni latitudine nel nome delle tradizioni e delle fedi religiose.