Fiducia Supplicans: la finta “rivoluzione bergogliana”

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Fiducia Supplicans è l’ennesimo tentativo di riforma della Chiesa annullato dalle contromisure del fronte conservatore interno.

Nella settimana che ha preceduto Natale la Congregazione per la Dottrina della Fede ha reso noto un documento, dal titolo Fiducia Supplicans, avente come oggetto il “senso pastorale delle benedizioni”. Nel testo, accolto naturalmente da molta stampa “progressista” come l’ennesima tappa della “rivoluzione bergogliana”, si riconosceva per la prima volta la legittimità della benedizione impartita a coppie “irregolari” formate da divorziati risposati e, soprattutto, da omosessuali. Naturalmente, tali gesti possono essere compiuti solo all’interno di una serie di rigidissimi paletti: la benedizione deve avvenire senza “gli abiti, gesti o le parole propri di un matrimonio” e quasi casualmente, a margine “della visita di un santuario, dell’incontro con un sacerdote, di una preghiera recitata in un gruppo o durante un pellegrinaggio”. Il senso delle limitazioni è stato insomma quello di evitare ogni possibile accostamento con il matrimonio e di ribadire che la chiesa accetta di benedire gli omosessuali (e le altre coppie “irregolari”) ma solo per pura pietà umana, per il fatto che anch’essi sono figli di Dio.
Chiaramente immutato è rimasto il giudizio sulla totale illiceità dei loro comportamenti sessuali, da esecrare e condannare sotto ogni profilo. Queste precisazioni non sembrano essere stati sufficienti a impedire la sollevazione di molti episcopati (soprattutto africani, ma anche europei, ad esempio quello polacco), che hanno reagito alla Dichiarazione affermando di non essere intenzionati ad applicarla. Reagendo a questa alzata di scudi, pochi giorni fa, la CDF è tornata sul tema con un lungo comunicato, nel quale, precisandone il significato, di fatto si rimangia tutte le pur timidissime aperture contenute nella Dichiarazione. Nel comunicato infatti la CDF da un lato chiarisce che è ammissibile, per i vescovi che lo desiderano, non applicare quanto previsto dalla Dichiarazione e che è prevedibile che ciò avvenga nei paesi dove l’omosessualità è fuori legge. In questi contesti, sarà più prudente, scrivono gli estensori del comunicato, non benedire i gay (nessun riferimento esplicito viene fatto alla circostanza che quegli ordinamenti violano gravemente un fondamentale diritto umano).
Insomma, trattandosi di una cosa di poca importanza, di poco più di una raccomandazione pastorale, quella relativa alle benedizioni delle coppie irregolari può essere messa in pratica su base totalmente volontaria. In secondo luogo, il comunicato sminuisce, spingendolo sino ai confini della totale irrilevanza, il significato delle benedizioni. Esse “devono essere soprattutto molto brevi”, durare pochi secondi e consistere nell’evocare l’intervento di Dio per liberare la vita di queste persone da quello che non corrisponde alla volontà divina, per richiedere purificazione e perdono. Dunque, si legge nel testo, “questa forma di benedizione non ritualizzata, con la semplicità e la brevità della sua forma, non pretende di giustificare qualcosa che non sia moralmente accettabile. Ovviamente non è un matrimonio, e non è neanche ‘un’approvazione’ né la ratifica di qualcosa. È unicamente la risposta di un pastore a due persone che chiedono l’aiuto di Dio. Perciò, in questo caso, il pastore non pone condizioni e non vuole conoscere la vita intima di queste persone. Nello svalutare l’importanza delle benedizioni il comunicato giunge fino al punto di parlare non più di coppie, ma di “due persone”, per certificare che la benedizione riguarda ciascuno di loro preso singolarmente e non il loro legame (che rimane irregolare, illecito e immorale).
Chiarisce bene questo punto questo esempio presentato nel comunicato. “Immaginiamo – si legge – che in mezzo ad un grande pellegrinaggio una coppia di divorziati in una nuova unione dicano al sacerdote: ‘Per favore ci dia una benedizione, non riusciamo a trovare lavoro, lui è molto malato, non abbiamo una casa, la vita sta diventando molto pesante: che Dio ci aiuti!’. In questo caso, il sacerdote può recitare una semplice orazione come questa: «Signore, guarda a questi tuoi figli, concedi loro salute, lavoro, pace e reciproco aiuto. Liberali da tutto ciò che contraddice il tuo Vangelo e concedi loro di vivere secondo la tua volontà». E conclude con il segno della croce su ciascuno dei due. Si tratta di 10 o 15 secondi. Ha senso negare questo tipo di benedizioni a queste due persone che la implorano? Non è il caso di sostenere la loro fede, poca o molta che sia, di aiutare le loro debolezza con la benedizione divina, e di dare un canale a questa apertura alla trascendenza che potrebbe condurli a essere più fedeli al Vangelo?” Come è evidente, in questa simulazione l’oggetto della benedizione non è il legame affettivo tra i due soggetti, ma la loro condizione di bisogno, la loro terribile sofferenza umana. Il fatto che quei due si presentino dal sacerdote in coppia è irrilevante. Se costoro avessero chiesto al prete di invocare la benevolenza di Dio per il loro amore, per la loro unione, costui avrebbe dovuto, secondo la Congregazione per la Dottrina della Fede, rispondere di no, che questo non era possibile. Infine L’esempio si chiude con un riferimento alla “debolezza” dei due, diretta conseguenza della loro condizione irregolare e all’eventualità che possano essere “più fedeli al Vangelo”, cioè che possano presto separarsi o almeno passare a vivere “come fratello e sorella”, cioè astenendosi del tutto dai rapporti sessuali, come previsto dalla dottrina cattolica.
In definitiva, Fiducia Supplicans, soprattutto alla luce del comunicato stampa prenatalizio, non contiene nessuna innovazione. Quando qualcuno nella Chiesa tenta di spostarsi in una direzione riformatrice, scattano subito le contromisure dell’ampio fronte conservatore interno e il processo si arresta per il timore che anche le novità più marginali diventino fonti di tensione e di conflitto. Per procedere unita la Chiesa deve rimanere ferma e con lo sguardo rivolto all’indietro, alla sacralizzazione del passato. Agli amici divorziati e risposati e omosessuali (con l’eccezione dei sacerdoti che hanno altri motivi per rimanere dentro l’istituzione) che sono rimasti nella Chiesa mi sento di rivolgere questa domanda: vale davvero la pena che qualcuno di voi esulti per un risultato così modesto, per non dire futile? E può la soddisfazione nascere dal mero fatto che la parte più reazionaria della Chiesa abbia reagito con indignazione alla pubblicazione di Fiducia Supplicans? Non è venuto il momento di riconoscere che la Chiesa non cambia la sua dottrina e che per voi semplicemente al suo interno non c’è posto se non come gli ultimi della classe, gli eterni paria in un mondo castale?

CREDITI FOTO: ANSA/US VATICAN MEDIA