Prima e seconda vita di MicroMega

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Il direttore racconta – nella testimonianza integralmente disponibile nel numero in edicola – la genesi del progetto di MicroMega.

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[…]. A una rivista stavo pensando da alcuni anni. Ero convinto che esistesse un mondo di sinistra “sommerso”, di persone che non si riconoscevano nei partiti esistenti (Pci, Psi, Psiup). […]. Una rivista per me significava dare voce intellettuale a questa “sinistra sommersa”, che facesse tesoro del lascito migliore del Sessantotto, liberato dai dogmatismi che ne avevano del resto decretato il fallimento. Ideologicamente una sinistra non più marxista, ma non per questo meno radicale nel considerare propria irrinunciabile stella polare l’eguaglianza sostanziale, sociale e culturale, oltre che giuridica. Insomma, non si trattava di uscire dal marxismo a destra, come di moda. Anzi.



[…]. Ho ancora le due paginette, battute nel 1984 sulla Ibm rossa a testina rotante che era allora il mio orgoglio, con cui contattai Giorgio Ruffolo. Pensavo infatti che per trovare un editore disposto a rischiare nell’impresa fosse necessaria una personalità con un peso culturale e politico molto ma molto superiore al mio. […]. In sostanza proposi a Ruffolo di fare insieme una rivista, di cui lui sarebbe stato direttore e io condirettore, che mettesse insieme l’eredità libertaria e di rivolta del Sessantotto, e quella riformatrice della sinistra socialista e di settori del Pci. Un dialogo tra partiti e società civile, e tra generazioni, che si rifletteva nella composizione del comitato di redazione: Ferdinando Adornato, Pino Arlacchi, Ugo Ascoli, Norberto Bobbio, Angelo Bolaffi, Federico Caffè, Sabino Cassese, Michele Coiro, Franco Crespi, Marco d’Eramo, Antonio Giolitti, Alfonso Maria Liquori, Pietro Marcenaro, Giovanni Palombarini, Luigi Pintor, Marco Santambrogio, Michele Salvati, Federico Stame, Enrico Testa, Gianni Vattimo, Danilo Zolo. Mai avrei immaginato che cinque o sei di loro sarebbero poi finiti a destra, il sottotitolo della rivista era un esplicito «Le ragioni della sinistra».

Ruffolo sottoscrisse in pieno le paginette di progetto editoriale che avevo steso (con il numero di pagine, le varie sezioni eccetera, cui poi corrispose esattamente la rivista realizzata), e iniziammo la ricerca di un editore. Malgrado i molti rapporti di Ruffolo, un solo grande editore mostrò un certo interesse, ma impose due condizioni: dimezzare il numero delle pagine e affidare la direzione a Norberto Bobbio. Altre possibilità non sembravano esserci, perciò Ruffolo e io ci recammo a Torino a casa di Bobbio. Nato nel 1909, quando nel 1985 lo andammo a trovare Bobbio era al massimo della notorietà, ci ringraziò, si disse disponibilissimo a collaborare ma fece presente che a 76 anni non aveva alcuna intenzione di assumersi il peso della direzione di una rivista.



Eravamo in un vicolo cieco. In realtà fino ad allora avevamo pensato solo a editori nel senso di editori di libri, alcuni dei quali pubblicavano anche delle riviste. Non so come, discutendo a quale altro editore potessimo rivolgerci, mi venne in mente che però un editore di giornali, Carlo Caracciolo, aveva per anni pubblicato in perdita un piccolo ma importante periodico, La rivista trimestrale di Franco Rodano e Claudio Napoleoni (la rivista dei cattocomunisti, insomma, poche copie ma grande autorevolezza e influenza). […].

Ruffolo conosceva bene Caracciolo, ed era anzi amicissimo di Eugenio Scalfari, che con Caracciolo aveva condiviso fondazione e proprietà del gruppo che aveva dato vita all’Espresso prima e alla Repubblica poi. Portammo perciò a Caracciolo le due paginette. […]. Di poche parole, quando si convinceva della bontà di un progetto pronunciava senza enfasi e con tono anodino un «magnifico». Quando ci rivedemmo disse: «magnifico». […].





Dovevamo a quel punto scegliere il nome della rivista e trovare un redattore capo. Lucio Caracciolo (nessuna parentela con l’editore) […] accettò con entusiasmo la nuova avventura. Avevamo scelto per la testata un titolo volterriano, Micromegas. Quando andammo a depositarlo, l’ufficio competente lo rifiutò perché esisteva già, era una rivista di francesistica di una piccola università italiana. Ma eravamo alla vigilia dell’uscita e la pratica doveva partire quel giorno. Decidemmo perciò di togliere la s finale, e ci dicemmo che avremmo spiegato che la rivista voleva affrontare i grandi temi ideali ma anche la concretezza delle vicende quotidiane.

[L’estratto qui pubblicato corrisponde al 16% del testo integrale pubblicato in MicroMega 2/2021]