La Costituzione è di tutti, non della maggioranza di turno

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Le Costituzioni, la separazione dei poteri, in definitiva la libertà, non sono un regalo degli dèi. Perché alcuni pensano a farsene una nuova per mantenersi al potere?

Le Costituzioni, la separazione dei poteri, in definitiva la libertà, non sono un regalo degli dèi. Non sono neppure semplici leggi, che si possono cambiare come tutte le altre, quando muta la maggioranza di turno. Una Costituzione è una conquista, frutto di conflitti sanguinosi. Le Costituzioni inglese e americana, e anche tutte quelle francesi, provengono da guerre, secessioni, rivoluzioni. La nostra stessa Costituzione del 1948 è il frutto d’una rovinosa sconfitta bellica, prim’ancora che della Resistenza.
Per questo già sentir parlare di riforme costituzionali mi mette di malumore. È per caso finita una guerra, di cui non mi sono accorto? C’è stata una rivoluzione, in quest’Italia invasa da longobardi e saraceni, lanzichenecchi e camicie nere, ma che non ne ha mai fatta una? Lo giuro sulla testa dei miei figli, pure io: se anche avessi in tasca la Costituzione migliore del mondo, e naturalmente non ce l’ho, mi guarderei bene dal tirarla fuori. Come dicevano i padri del liberalismo: non sono gli uomini a fare le Costituzioni, le fa il tempo.



E allora perché l’altro ieri Berlusconi, ieri Renzi, oggi Meloni, insomma tutti coloro che s’illudono d’aver vinto, pensano subito a farsi una nuova Costituzione per mantenersi al potere, ma che magari servirà solo a quelli che verranno dopo di loro? Sento già l’obiezione: ma allora le Costituzioni non si possono cambiare, neppure l’inglese e l’americana, che hanno tre secoli e li dimostrano tutti? Naturalmente, anche le Costituzioni possono e debbono cambiare, ma in due modi profondamente diversi.
Intanto, le Costituzioni possono cambiare esplicitamente e parzialmente, seguendo le apposite procedure, com’è avvenuto per l’unica nostra riforma costituzionale riuscita: quella delle Regioni, ottenuta da Prodi ai tempi del secessionismo della Lega. Fatta con le migliori intenzioni, d’altra parte, la riforma del Titolo V ha prodotto infiniti conflitti di competenza e venti sistemi sanitari diversi: aprendo anche la strada alla cosiddetta Autonomia differenziata di Calderoli, che darebbe la botta definitiva tanto alle Regioni quanto alla Sanità.

Poi, e soprattutto, le Costituzioni cambiano silenziosamente e concretamente, con il mutare dei rapporti sociali e degli equilibri fra i poteri. È quanto è già avvenuto anche alla Costituzione italiana. Il costituente aveva adottato la “vecchia” separazione dei poteri, centrata sul Parlamento. E per un po’, almeno sino a Tangentopoli e al berlusconismo, la cosa ha funzionato: impedendo sì l’alternanza delle maggioranze, ma producendo leggi come divorzio, aborto, Statuto dei lavoratori, Servizio sanitario nazionale.
Poi, com’è avvenuto prima o dopo in tutto l’Occidente, s’è imposta una “nuova” separazione dei poteri, imperniata sull’esecutivo. È il governo, ormai, che fa le leggi in forma di decreto, lasciando al Parlamento le briciole. Ma siccome ogni colpo provoca un contraccolpo, ogni potere un contropotere, in risposta alla “nuova” s’è affermata una “nuovissima” separazione dei poteri, basata sul giudiziario e sugli organi di garanzia interni e internazionali.
Bene o male, noi ci troviamo esattamente qui: la destra di governo tenta di consolidare il proprio potere, indebolendo ogni forma di controllo. Un solo esempio: l’attacco quotidiano ai giudici, la proposta di separarne le carriere. Proposta ineccepibile, da un punto di vista garantista e liberale: se non servisse, in realtà, a riportare i pubblici ministeri sotto il controllo dell’esecutivo.





CREDITI FOTO Wikipedia | | dati.camera.it: Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana a palazzo Giustiniani, il 27 dicembre 1947. Al suo fianco, da sinistra a destra, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, Francesco Cosentino, funzionario, Giuseppe Grassi, guardasigilli, e Umberto Terracini, presidente della Costituente.