L’Italia e l’estinzione dell’etica pubblica

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Siamo diventati un popolo disincantato e sostanzialmente amorale, etero guidato da fonti più che sospette e men che veritiere.

Da anni ormai l’Italia è preda di una specie di sindrome penalistica: la comune legge morale di stampo kantiano ha gettato la spugna in favore della legge penale, di stampo davighiano.
Sia da chi ne immagina l’incombere minaccioso sulla libertà di ognuno (i cosiddetti ‘garantisti’), sia da chi ne propugna l’intervento massiccio a tutela delle virtù repubblicane, sia – infine- da chi si colloca da una parte o dall’altra a seconda degli interessi di parte, a restarsene sempre in un angolo, ignorata, è l’etica cosiddetta pubblica. Quella privata sembra invece godere di buona salute, almeno per quanto riguarda gli affari e il denaro: soprattutto gli amici.



‘È reato o non è reato?’ ci si chiede ossessivamente, dalla politica, dai media, dai predicatori laici che affollano la televisione, di fronte ai comportamenti ‘impropri’ di personaggi pubblici.
Se è reato, bisogna attendere la famosa e remota sentenza definitiva, quando mai ci si arrivi e la condotta incriminata non sia stata dimenticata dalla pubblica opinione. Se non è reato, allora, di che ci si preoccupa? Non sono fatti che ci riguardino, se non addirittura degni di invidia e sommessa ammirazione.
Un’etica pubblica richiederebbe forti convinzioni, ben radicate nella società e negli individui che la compongono, una buona educazione civile, un senso profondo del bene comune: tutte qualità, riconosciamolo, che ci fanno difetto o conducono da noi un’esistenza assai grama.


A partire dalle ‘forti convinzioni’, quelle che si pongono come irrinunciabili anche di fronte ai più pressanti e promettenti degli interessi personali. Siamo diventati un popolo disincantato e sostanzialmente amorale, etero guidato da fonti più che sospette e men che veritiere. La morale si presenta, semmai, sotto forma di moralismo, di un moraleggiare in base a valori utilizzati come mezzi (ancora Kant) e non come fini.
Lasciamo perdere poi l’educazione civile, ridotta a insegnamento scolastico grazie a una ‘materia’, l’educazione ‘civica’, costantemente umiliata e tenuta in castigo. Come del resto la scuola in cui dovrebbe essere insegnata. Alla società cosiddetta civile è piuttosto affidato il compito di trasmettere ai più giovani la ‘mala educaciòn’: non per caso il titolo del film di Almodòvar dedicato alla diffusione della pedofilia tra il clero cattolico, proprio quello cui dovrebbe essere assegnato il compito di formare la gioventù a un’idea – se non di moralità – almeno di educazione diffusa.



Sull’assenza, infine, di un senso condiviso e forte del bene comune, il discorso si fa più complicato. Almeno per quanto riguarda le origini risalenti e profonde di questa assenza tra gli italiani, a proposito della quale nessun dubbio sembra però consentito, trattandosi di uno stereotipo radicato e quasi mai contraddetto.
Che fare? L’educazione degli italiani non è mai stata – fortunatamente –intrapresa, se non dallo sciagurato progetto fascista. La Chiesa, presa dai propri problemi interni, non sembra più preoccuparsene, accontentandosi del formale omaggio reso ogni domenica da sempre meno fedeli alle sue affascinanti liturgie. I e fonti battesimale si inaridiscono. Quella dei matrimoni e delle comunioni è diventata un’industria assai redditizia.

Su una spiaggia pugliese, un sacerdote ha ritenuto di dire la messa stando in costume a mollo nell’acqua, servendosi di un materassino come altare. La famiglia – quando resiste – è sempre più un modello negativo, specchio in cui si riflette la ‘mala educaciòn’ nazionale. Un nuovo bigottismo sembra aver contagiato ormai il nostro bel Paese: il bigottismo egoista e senza prospettive dei diritti di ciascuno di noi, orfani dei doveri che in gran parte ne costituivano fondamento e giustificazione.
Para los amigos, todo.Para los enemigos, la ley’, dice un proverbio spagnolo.
Anche da noi, ormai, la legge penale serve solo per liberarsi dei nemici, mentre per gli amici siamo disposti a tutto, anche a violare la legge: quella penale come quella morale.





 



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