Morti sul lavoro, una strage senza giustizia

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Scarsità di aule, carenza di personale, impedimenti e lungaggini burocratiche. Se a morire è un lavoratore – 5mila infortuni mortali negli ultimi 14 anni – la giustizia diventa una chimera. Per dimezzare i tempi dei procedimenti serve una Procura nazionale del lavoro.

Pretendere giustizia per la morte del proprio caro. Andare davanti a un giudice e intentare una causa perché la perdita del parente è avvenuta durante l’orario di lavoro e per assenza delle tutele fondamentali di salvaguardia. Trascinare poi per anni il dramma della propria solitudine nelle aule di tribunale. Con il rischio di vedersi prescrivere un dolore che, giorno dopo giorno, aumenta. Questa è l’incipit di una storia tutta italiana. “Sono sicura che morirò prima di vedere la fine di questo processo, anche prima della fine del primo grado, chiudendo per sempre gli occhi senza poter sapere come e da chi è stato ucciso mio figlio”. È l’estratto della lettera che Annunziata Cario, 75 anni, ha scritto alla ministra della Giustizia Marta Cartabia. Il figlio è morto nel 2017, a 32 anni: dipendente di una ditta di autotrasporti, è rimasto schiacciato da una balla di bottiglie di plastica mentre la caricava sul camion. Il processo, secondo quanto scrive Cario, è a stento iniziato. La ministra, nella sua relazione annuale al Senato, ha letto le parole di disperazione della donna. “Da persona umile, forse perché non conosco la materia, mi chiedo a cosa serve discutere di riforme quando un tribunale della Repubblica non è in grado di far celebrare un processo per una morte sul lavoro perché non ha le aule adeguate né è in grado di attrezzarne una all’esterno e perché i giudici hanno un carico di lavoro che non consente loro di rinviare a breve le udienze”, scrive l’anziana signora.



I morti sul lavoro sono una tragedia, anche questa, con una specificità tutta italiana. Il bollettino di guerra tricolore è compilato dall’Inail: le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto tra gennaio e novembre sono state 502.458 e “1.116 delle quali con esito mortale”. Nella sezione open-data, l’Inail mostra un incremento rispetto al 2020 delle patologie di origine professionale denunciate: 50.804, il 24,1 per cento in più. Il confronto, però, con l’anno precedente “richiede cautela” perché i dati sono “profondamente influenzati dalla pandemia”. Nel computo della strage silenziosa, è assente il resoconto di dicembre.
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