Le navi quarantena? “È emergenza. Ma ora va voltata pagina”: intervista al presidente di Croce Rossa

Categorie: Politica, Rubriche

Per Francesco Rocca il modello nato all’inizio della pandemia deve chiudersi con la fine dell’emergenza sanitaria.

Dopo aver raccolto tre testimonianze di professionisti e volontari all’interno dell’inchiesta sulle navi quarantena abbiamo intervistato Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana, e Francesca Basile, responsabile del dipartimento migrazioni di Croce Rossa, per farci raccontare come l’organizzazione valuta l’esperienza delle navi quarantena e per rispondere alle accuse mosse dal personale di CRI che è stato a bordo delle navi.



Rocca, prima di tutto, come giudica tutta l’operazione delle Navi Quarantena?
Credo che sia un’operazione borderline nata in emergenza e spero che finisca il giorno stesso dell’emergenza. Nelle prime settimane di pandemia c’era una parte della politica che soffiava sul fuoco della paura parlando di migranti che portavano il Covid, la situazione rischiava di diventare problematica per l’ordine pubblico e quindi non c’erano i presupposti per fare accoglienza a terra. Non volevamo però un sistema che fosse prigione: quando hanno provato a mandare a bordo una persona positiva al Covid che si trovava in un centro di accoglienza abbiamo risposto che o lo facevano con tutti, anche gli italiani, oppure noi ci saremmo tirati indietro.

Francesca Basile, dalle testimonianze che abbiamo raccolto il personale a bordo è minimo rispetto al grande numero di persone a bordo, voi avete dei protocolli da rispettare?
Noi non abbiamo un numero definito di persone da imbarcare del nostro staff, abbiamo dei servizi da garantire e abbiamo sempre cercato di farlo anche se non è facile perché i numeri sono variabili e non dipendono da noi; quindi, dobbiamo modulare lo staff in base agli imbarchi che vengono programmati giorno per giorno. Se a Lampedusa arrivano centinaia di persone in poche ore, gli ospiti a bordo delle navi quarantena aumenteranno di lì a poco. Il numero di persone che posson (o stare a bordo non lo decidiamo noi ma è stato deciso precedentemente dall’USMAF (Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera) e in base ai loro calcoli ogni nave può ospitare un numero massimo di persone.



Una volta a bordo uomini e donne vengono messi negli stessi ponti, cosa che non favorisce la denuncia da parte delle donne vittime di tratta, perché non viene pensata una sezione femminile a bordo?
Ragioniamo per corti e ponti perché è l’unico modo che abbiamo per separare le persone a bordo ed evitare contatti tra i diversi gruppi che sono stati imbarcati in momenti diversi, hanno cabine diverse, ma sono negli stessi ponti.

Ho visto che nelle scorse settimane ci sono state delle proteste da parte dei mediatori culturali e parlando con degli psicologi che sono stati a bordo ci raccontavano che spesso sono persone che hanno finito da poco il percorso di accoglienza e che non sono preparati per fare da mediatori, è vero?
I nostri mediatori sono persone preparate e cerchiamo di coprire sempre tutte le lingue e provenienze che si trovano a bordo, cosa molto difficile. Lavorare a bordo è stressante per tutti ma noi tuteliamo la salute del nostro staff con continui monitoraggi.







Abbiamo raccolto delle testimonianze di donne dello staff che sono state vittime di molestie sessuali da parte di altri membri dell’equipaggio. Ci è anche stato raccontato di una donna chiusa in ascensore da un membro dello staff. Dicono di aver segnalato la cosa a Croce Rossa ma che non sia accaduto nulla.
Le segnalazioni che ci arrivano le approfondiamo sempre e cerchiamo di far chiarezza, la cosa migliore sarebbe sempre quella di denunciare alle autorità l’accaduto e fino ad oggi non c’è stata nessuna denuncia. Sono molto addolorato per quello che è accaduto a questa persona.