Non una lacrima per l’imprenditore che tagliò i diritti sociali

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“Berlusconi non era uno statista e io non sono in lutto”.

Non avevo ancora compiuto 20 anni, quando nel 1994 Berlusconi scese in campo. Nell’intera mia vita politica, come in quella di tanti e tante della mia generazione, Berlusconi è stato sempre uno dei principali avversari, quello che ha inquinato la politica degli ultimi 30 anni e ci ha portato fin qui, con un Governo in carica non più di destra liberale ma di destra reazionaria e sovranista, che non teme nemmeno più di mostrarsi nostalgica. Per questo, oggi, io non sono in lutto!
Berlusconi fu quello delle leggi ad personam, della compravendita di senatori, della corruzione e della normalizzazione dell’evasione fiscale, dei rapporti con la P2 e con la mafia, delle frodi fiscali, degli attacchi alla magistratura e delle olgettine. Nel 2001, era presidente del Consiglio, quando eravamo a Genova contro il G8, in una città militarizzata dove per tre giorni interi la democrazia fu letteralmente sospesa.



Durante i suoi Governi propose leggi che misero le basi per la manomissione dei diritti sociali e economici di questo paese. La legge Biagi sulla precarietà, il primo scalone Maroni sulle pensioni, il primo tentativo di depotenziare l’articolo 18, la legge Moratti sull’università, poi la Gelmini sulla scuola, la legge Brunetta che cascò come una mannaia sui lavoratori e le lavoratrici del settore pubblico, la legge Bossi-Fini contro i migranti e ancora il decreto sicurezza che introdusse il reato di immigrazione clandestina. Poi ancora, la legge 40 contro la fecondazione assistita e non so quante altre ne dimentico.
Mi spiace per la sua morte, non voglio essere cinica. Ma nemmeno ipocrita. Non fu uno statista, ma quello che portò un Parlamento intero a votare che Ruby Rubacuori era la nipote di Mubarak. Governò il paese come si amministra una impresa, pensandosi come il padrone, svilendo il ruolo delle opposizioni e inventando il pericolo comunista. Legittimò la cultura politica del privilegio e dell’interesse personale, al quale tutto può essere piegato, persino le istituzioni. Sdoganò quella cultura del possesso e della mercificazione, banalizzando il ruolo delle donne a ancelle del potere, che valgono solo per il loro aspetto fisico, a prescindere che siano la cancelliera tedesca, la first lady americana o la propria igienista dentale. Quella cultura dove tutto ha un prezzo e tutto può essere comprato. Dove “io sono io e voi non siete un…”

Berlusconi ha certamente cambiato il paese, di sicuro non era noioso e raccontava barzellette come nessun altro politico. Ma è un po’ poco per giustificare la chiusura per tre giorni del Parlamento e un lutto di stato improprio e divisivo. Ieri sera, a Torino, al Teatro Regio, il minuto di silenzio imposto dal Ministro Sangiuliano prima dell’inizio della prima di Madama Butterfly, si è trasformato nel suo contrario, con metà della sala a fischiare e gli orchestrali che si alzano dalla fossa e se ne vanno.
Per questo no, non sono in lutto. Bene ha fatto il rettore dell’Università per stranieri di Siena Tomaso Montanari a disobbedire e rifiutarsi di abbassare a mezz’asta le bandiere. Quando le ordinanze sono sbagliate, l’obbedienza non è una virtù.
Senza considerare che da 24 ore, dalla morte di Silvio Berlusconi, cinque operai sono morti sul lavoro, nel solito silenzio dei media. Il primo, morto proprio lo stesso giorno dell’ex premier, aveva 65 anni ed è caduto da una impalcatura in un cantiere edile. Per loro nessun lutto di stato, nessun funerale solenne, nessun cordoglio di stato. Sic transit gloria mundi!



Eliana Como – direttivo nazionale Cgil – area Le Radici del Sindacato



Foto Flickr | European People’s Party