Perché bisogna difendere l’unità della Repubblica

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Vi piacerebbe che in Italia tornassero i granducati, i ducati, i comuni e le signorie, i clan e le famiglie?

Vi piacerebbe che in Italia tornasse il Granducato di Toscana, il Ducato di Parma e Piacenza, e, ancora più a nord, quello di Milano, i dogi a Venezia? E poi più giù il regno pontificio sotto le insegne del Papa, tra bolle e indulgenze, i Borboni nel Regno delle Due Sicilie? La storia italiana ce lo insegna. Solo voltando lo sguardo appena un poco indietro abbiamo un intero millennio alle spalle di conflitti, troni e dominazioni – non celesti come quelle invocate da Dante, ma tant’è – formate da armigeri, eserciti, vessilli, congiure, faide, battaglie, invasioni e guerre, concluso solo nel 1870 con la breccia di Porta Pia e la presa di Roma, ben altrimenti ‘ratificata’ nel 1922 dalla marcia su Roma. di cui è appena ricorso il centenario. Differenti troni e dominazioni di segno opposto.
Un Paese sempre fragile il nostro, bisognoso di conforto religioso e/o straniero (spagnoli, francesi, tedeschi, austriaci). E mentre gli stati sovrani come la Francia si affermavano fin dal Cinquecento come stati unitari, per via della presenza di sovrani assoluti, noi i sovrani assoluti li chiamavamo in difesa del nostro ‘particulare’, come lo aveva denominato Francesco Guicciardini ovverosia il tornaconto personale che, a suo avviso, è la vera molla che fa scattare tutte le azioni umane. Il più delle volte corrisponde infatti al benessere materiale e al potere, mentre potrebbe (ed è talvolta accaduto) nobilitarsi, corrispondendo all’interesse dello Stato, alla gloria e alla fama.
L’apparato storico ci fornisce, insomma, abbondanti ragioni per cui il nostro Paese è stato sempre parcellizzato e frazionato, anche politicamente, per arrivare fino alle cronache odierne con quanto accade anche oggi alla sinistra e al Pd, ma pure alle formazioni di centro e della destra. Ragioni con cui poter guardare al futuro da un punto di vista avvantaggiato: quanto è già successo. E il presente attuale, in un paese democratico, significa coesione e unità di intenti in direzione della pace (ora messa perfino in discussione!) e di un’uscita dalla crisi economica cominciata prima ancora degli anni ‘10 e peggiorata da quasi tre anni di epidemia mondiale, in vista di una reale ripresa del lavoro e delle prospettive di crescita, specie per i giovani e le donne, in un quadro europeo rafforzato di solidarietà e prestigio internazionale.
La manifestazione organizzata a Roma il 21 dicembre in piazza della Rotonda al Pantheon, anche questo ha inteso significare. Un richiamo forte alle forze politiche in primis della sinistra, affinché diano ascolto a quanto è stato affermato, discusso, proposto. Le due organizzazioni che hanno sostenuto (anche economicamente) il presidio sono state i Comitati No Autonomia Differenziata (al lavoro sul tema già da 4 anni) e la Rete dei Numeri Pari – Non per noi ma per tutte e tutti, cioè due realtà sociali di volontariato politico e cittadinanza attiva.
Ma possibile che sia affidata esclusivamente alle iniziative di parte del governo e alla protesta civile una faccenda tanto importante quanto può esserlo il disegno di un’Italia divisa in due, già condannata a trascinarsi il peso di un intero secolo afflitto dalla questione meridionale? Possibile che il nostro Paese debba procedere a due velocità, spaccato tra nord e sud quanto a istruzione nelle scuole e nelle università, assistenza sanitaria, tempi di lavoro, provvedimenti sull’ambiente e quant’altro appare nelle 23 materie in discorso, su cui influirà un provvedimento che dire snaturato e snaturante è dir poco, se mai un giorno dovesse trasformarsi in legge?
Un appello forte e chiaro, insomma, che speriamo sia raccolto al più presto dalle forze istituzionali, politiche ed economiche, oltre che sostenuto da cittadine e cittadini di un’Italia malandata, che tutti vorremmo tornasse a un ruolo autonomo e centrale in Europa e nel mondo. E chi ha orecchie per intendere, intenda.