La favola di Matteo e Giorgia

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Ponte sullo stretto, federalismo padano e potere esecutivo al Presidente della Repubblica eletto, sono le soluzioni ai problemi del Paese?

Chiedo venia trovo un po’ esagerato l’entusiasmo profuso intorno al recente via libera del Consiglio dei ministri circa la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. A sentire il sottosegretario alla Presidenza Morelli, che ci ha tenuto a precisare il grazie “soprattutto al lavoro del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini”, si tratta di “un’opera green e strategica per tutto il Paese che così avrà trasporti ferroviari rapidi da Bolzano a Palermo”. Non solo, sarà anche il tassello mancante che “metterà la Sicilia e l’Italia al centro dell’Europa“. Qualunque cosa quest’ultima affermazione significhi, i toni trionfalistici sono da svolta epocale. Del resto il buco nero del sistema trasportistico italiano era proprio nella tratta Bolzano-Palermo. Tutto il resto funziona, tutti i treni sono di nuovo in orario.



Se a questo aggiungiamo l’Autonomia differenziata in salsa Lega, per dare di più a chi ha avuto di più (sembra essere di prossima approvazione il ddl costituzionale) e la riforma della Costituzione in senso presidenziale che vuole la Premier, si completa il quadro della strategia su cui punta il governo sempre più “radioso” della “molto capace” Giorgia Meloni, come ama definirla il mancato segretario del Pd, Bonaccini.

Ora, nell’attesa che ci spieghino cosa avrà di “green” il ponte sullo stretto e con quali risorse verrà realizzato, e senza tirare in ballo il vecchio adagio che la Costituzione più che modificata andrebbe attuata, è perlomeno lecito chiedersi se siano queste le vere priorità e le urgenze dell’Italia. Cioè se, costruire il Ponte, realizzare il federalismo padano e assegnare il potere esecutivo al Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini, siano tra le soluzioni ai problemi del nostro sistema-paese?
La sensazione è che potrebbe essere sfuggito qualche tema da mettere in agenda per tentare di rimettere in asse il piano inclinato del nostro sistema politico, economico e sociale.



In ordine sparso, senza la pretesa di essere esaustivi.
Come evidenziato dalla pandemia, la Sanità pubblica versa in uno stato precomatoso e la pubblica Istruzione (come ci piace chiamarla) non se la passa meglio (settori che resistono solo per la professionalità e la competenza di tanti operatori). Dovrebbero essere il fondamento di sistemi di welfare moderni e avanzati mentre in decenni di politiche pubbliche scellerate abbiamo sistematicamente disinvestito, tagliando fondi e risorse, con un significativo peggioramento del benessere collettivo e delle opportunità individuali.

Non solo, il binomio da record debito pubblico e corruzione drena da tempo immemore le risorse della fiscalità generale, droga l’economia, alimentando la sfiducia nelle Istituzioni. Senza contare che nell’economia di mercato tra monopoli e oligopoli più o meno familiari, l’unico mercato in concorrenza perfetta (come i manuali auspicano) è solo quello del marcato del lavoro, dove la concorrenza è tra chi perde meno diritti, innalzando la soglia di povertà.





Ancora, sono ampie le aree geografiche in mano al crimine organizzato che blocca qualunque sforzo emancipante, economico e sociale. Purtroppo la legalità non è mai diventato un valore comune e diffuso, né una precondizione per accedere alle cariche pubbliche. Tralasciando l’abisso dei misteri e delle verità sepolte della nostra Repubblica, da Portella della Ginestra a Via D’Amelio.

E non per ultimo, i dati e rapporti che ormai da un po’ di anni ci raccontano come siano aumentate le disuguaglianze sociali e la povertà educativa, soprattutto quella minorile. Producono ingiustizia ed esclusione, in un circolo vizioso che si autoalimenta e il cui frutto avvelenato è rappresentato dalla riduzione dei diritti, allo studio, all’assistenza, al lavoro, al futuro stesso. Per la prima volta nella storia repubblicana l’ascensore sociale non solo si è bloccato ma ha iniziato la discesa. Questo vuol dire che chi parte in posizione di svantaggio, rimane svantaggiato, condannato a non farcela.

Ora, l’elenco potrebbe proseguire per avvalorare la convinzione che in tutto questo la nostra Carta ha ben poche responsabilità, e che l’elezione diretta del Capo dello Stato nulla aggiungerebbe, né un ponte nuovo basterebbe per fare i “collegamenti” che servono. Che non sono quelli di rendere autonome le regioni con maggiori opportunità e possibilità ma quelli di rendere esigibili i diritti, per tutti e per ciascuno, anzi soprattutto per chi ha avuto di meno, e parte suo malgrado dalla seconda fila, investendo prima di tutto in sanità, istruzione, lavoro e cultura.
Questa è l’eredità dei padri costituenti. Se vogliamo essere una comunità, e una democrazia.
Una narrazione diversa, Matteo e Giorgia, ha il sapore della favola. Come quella di Adamo ed Eva.

 



Foto Flickr | julie corsi