“Espropriare i grandi fondi immobiliari”. Parte da Berlino l’attacco alla rendita

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L'esito del referendum per impedire di detenere più di tremila case apre la strada a una legge che regolamenti gli affitti.

Un risultato che fa tremare i polsi ai colossi del “real estate”. Il 26 settembre i cittadini di Berlino sono stati chiamati alle urne non solo per rinnovare il Parlamento (sia quello federale sia quello della città) ma anche per rimettere al centro del dibattito politico una parola che sembrava ormai desueta: “esproprio”. Il referendum poneva un quesito molto chiaro: acquisire nel patrimonio pubblico uno stock di immobili a uso residenziale di proprietà dei grandi fondi immobiliari. Nel mirino soprattutto la Deutsche Wohnen, società immobiliare che possiede circa 120 mila abitazioni nella capitale tedesca. Risultato: il 75 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne, superando quindi il quorum del 25 per cento, e il 56,4 ha votato per il “sì”.



Nel concreto, il referendum consultivo ha come obiettivo una legge che impedisca ai fondi e alle società, in generale a qualsiasi privato, di detenere più di tremila unità abitative. Oltre quella soglia, il patrimonio immobiliare già in possesso – è la volontà dei berlinesi – dovrà essere acquisito alla proprietà pubblica e quindi messo a disposizione dei cittadini con un affitto a prezzo calmierato.

Secondo i promotori del referendum (il comitato “Deutsche Wohnen & Co enteignen”, tradotto: “Espropriare Deutsche Wohnen & Co”) con questa legge oltre 240mila abitazioni, oggi sfitte, tornerebbero sul mercato degli affitti a cifre accessibili per quella popolazione che non riesce a permettersi un alloggio “dignitoso” in città.



Il costo degli affitti è infatti uno dei principali problemi per i cittadini di Berlino. Circa l’80 percento dei berlinesi vive in una casa non di  proprietà in una città che negli ultimi anni ha visto un’impennata dei prezzi, con il record del +20 percento toccato nel 2017 e un aumento complessivo, dal 2004 al 2021, del 120 percento. Un alloggio per cui nel 2004 si pagava 500 euro oggi costa 1100 euro al mese. Il principale motivo di questo boom è da ricercarsi proprio nelle politiche imprenditoriali dei grandi proprietari: tenere vuote le abitazioni consente infatti di mantenere alta la domanda e, quindi, di aumentare i prezzi.

Il voto si inserisce in un contesto in cui il tema degli affitti è al centro del dibattito pubblico in Germania. Ad aprile la Corte costituzionale tedesca ha dichiarato “incostituzionale” la legge sul tetto degli affitto – Mietendeckel – che il governo di Berlino aveva introdotto nel 2019 e che prevedeva un congelamento dei prezzi fino al 2025 e un abbassamento dei canoni superiori del 20 per cento al nuovo tetto per tutti i contratti già in essere. Dallo stop del più alto tribunale tedesco è nata quindi la mobilitazione dei cittadini berlinesi per il referendum consultivo che, di fatto, “obbligherà” la nuova amministrazione quantomeno a discutere della questione e a farsi promotrice, a livello federale, di una legge che metta mano al problema abitativo che, dopo Berlino, ha travolto anche città come Amburgo, Francoforte e Monaco.





La sindaca neoeletta dell’Spd, Franziska Giffey, si è già detta contraria all’esproprio, definendolo “di difficile attuazione” e seguendo così la linea del “è impossibile” sostenuta dai partiti di opposizione. La sinistra di Linke e i Verdi (due partiti che a Berlino sono molti forti e saranno con ogni probabilità nella colazione del governo locale) invece premono per dare seguito al referendum consultivo e promettono battaglia politica. Sul tavolo, gli equilibri delle alleanze tra i partiti visto che ora la Germania, a livello nazionale, è chiamata a definire la coalizione di governo e gli equilibri berlinesi, in questa partita, sono pesanti. In mezzo, il futuro di Berlino e delle altre città tedesche. Il rischio, come hanno spiegato i promotori della campagna referendaria, è di fare la fine di Londra e Parigi, “dove le persone normali con uno stipendio normale non possono più permettersi di vivere in città”.

 



(credit foto Christophe Gateau/dpa)