Cosa significa, come scrive l’art. 32 della Costituzione, che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”?
Ognuno, tranne i nababbi prenotati per visitare il Titanic, ha il suo caso da raccontare. Il mio è questo. Una decina d’anni fa fui colpito da un tumore del sangue. Il Servizio Sanitario Nazionale, istituito dalla legge 833 del 1978, e in particolare il prof. Carella del San Martino, mi hanno curato per sei mesi, sette/otto ricoveri, terapie sperimentali costosissime, senza chiedermi un euro. Tutto pagato dal SSN, cioè dalle tasse dei cittadini: o più precisamente di quanti, come il sottoscritto, sono costretti a pagarle, perché lavoratori dipendenti o pensionati.
Cosa sarebbe successo se, invece d’essere italiano, fossi stato cittadino statunitense, e le mie cure avesse dovuto pagarle la mia assicurazione privata? Probabilmente, avrei passato il resto della mia vita a ripagare l’assicurazione. E forse, da allora, mi sarei ben guardato dal disturbare il mio medico di famiglia e vari specialisti, come invece faccio al primo starnuto. Anche per questo – per gratitudine – avrei voluto esserci anch’io, in piazza del Popolo a Roma, per la manifestazione contro la svendita della Sanità pubblica indetta dalla CGIL e da novanta associazioni laiche e cattoliche.
Cos’è successo, infatti? Le cifre fornite da Maurizio Landini e dalle associazioni professionali sono abbastanza eloquenti. In vent’anni, nonostante il Covid, gli investimenti nella Sanità pubblica sono calati di 40 miliardi. Solo negli ospedali, mancano 30.000 infermieri e 15.000 medici. Quattro milioni di italiani hanno smesso di curarsi, perché le liste d’attesa per una visita specialistica o un esame radiologico sono troppo lunghe, e non hanno i soldi per rivolgersi alla sanità privata. E questo mentre l’età media della popolazione continua a salire, facendo di noi un popolo d’infermi.
Ve ne sarete accorti anche voi, del resto. A un certo punto il vostro medico di famiglia, vecchio amico, comincia a farsi sostituire, anche da colleghi provenienti dal Sud del mondo, e vi avverte che, in caso di problemi il sabato o la domenica, dovete rivolgervi al pronto soccorso. Ci andate, spesso per accompagnare un parente ultranovantenne, e ve lo lasciano in barella per giorni, in un corridoio, a malapena controllati da medici e infermieri sopravvissuti ai due anni di Covid, quando li chiamavamo eroi. Molti dei loro colleghi sono già scappati verso la sanità privata, magari pagati stratosfericamente a gettone, dove, fiutando l’aria che tira, si dirigono ormai anche i neolaureati.
Ne parlate con gli operatori e vi raccontano tutti la stessa storia. Come gli specialisti dei servizi territoriali, quelli nei quali si doveva investire dopo il Covid – ricordate? – e che ora languono in attesa dei soldi del PNRR, se mai qualcuno si degnerà di ottenerli e magari persino di spenderli. In questa trincea del servizio pubblico, dove arrivano signore arabe velate che non parlano l’italiano, per abbattere le liste d’attesa si è costretti a visitare i pazienti in un quarto d’ora, giusto il tempo di chiedergli il numero di codice fiscale.
Altro che le sorti del MES o della Santanché, altro che l’autonomia differenziata, che darebbe la botta finale agli attuali venti sistemi sanitari pubblici regionali. In piazza c’era l’opposizione al completo, per una volta unita. E il governo, come risponderà il governo? Speriamo solo che i ministri non guardino solo i loro propri telegiornali, altrimenti chi se ne accorge, della protesta che sale dalla Nazione?
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