Verità e giustizia sui “cold case” razzisti

Categorie: La rivista, Rubriche

Estratto da MicroMega 1/2022, "La fine del secolo americano?".

Nel 1955 Joyce Faye Nelson-Crockett aveva 13 anni. Un sabato sera di ottobre ballava al ritmo del jukebox dello Hughes Cafe nel Texas orientale, con sua sorella e suo cugino di 16 anni, John Earl Reese. Il ragazzo era tornato a casa quel giorno, nella vicina città di Mayflower, dopo un’estate trascorsa a raccogliere cotone, e teneva la mano di Nelson-Crockett mentre la faceva girare per la sala. All’improvviso, uno schianto acuto interruppe la musica. Nelson-Crockett all’inizio pensò si trattasse di fuochi d’artificio, finché non sentì un tonfo sul pavimento e vide Reese al suolo. «Ho guardato e ho visto il suo cervello uscire dalla testa», raccontò in seguito a un giornalista. Poi sentì un liquido caldo scorrerle lungo il braccio e si accorse di essere stata colpita al polso. Anche sua sorella di 15 anni era stata ferita alla spalla da una pallottola. Nelson-Crockett in seguito sarebbe venuta a sapere che due uomini bianchi avevano sparato dalla loro auto attraverso le finestre del Cafe perché erano arrabbiati che i politici locali avessero deciso di spendere dei soldi per una scuola per bambini neri.



Reese morì per le ferite riportate. Ma i due uomini non passarono mai un solo giorno in prigione. «Mi sentivo malissimo allora. Mi ci sento ancora adesso», raccontò Nelson-Crockett al quotidiano Fort Worth Star-Telegram nel 1989. «Immagino che mi ci sentirò finché vivrò». Era molto vicina al cugino, che viveva in fondo alla sua strada e faceva con lei il percorso per prendere l’autobus, facendola ridere quando aveva passato una brutta giornata. Il governo della contea non sembrò preoccuparsi del modo in cui la sua vita era stata spezzata: i registri rubricavano la sua morte come un incidente, nonostante molte prove, comprese le confessioni degli assassini, indicassero chiaramente che il suo era stato un omicidio razzista.

La famiglia perse tutte le foto che ritraevano Reese negli incendi che distrussero la casa in cui viveva e la casa della nonna. Nei decenni successivi alla sparatoria, Nelson-Crockett non parlò molto della vicenda, non la raccontò neppure alla nipote, che stava tirando su: poiché alcuni parenti degli assassini probabilmente vivevano ancora in zona, temeva che se lo avesse saputo avrebbe guardato ai vicini in modo diverso.Così Nelson-Crockett tenne sepolti i ricordi e cercò di mantenersi occupata coltivando la sua terra. «Non ho mai capito cosa si sarebbe potuto fare», dichiarò al Longview News-Journal nel 2009, quando aveva circa 60 anni. «Niente lo riporterà indietro».



Quell’anno, Nelson-Crockett ricevette una telefonata che avrebbe cambiato la storia della sua famiglia. All’altro capo del filo, una studentessa di legge del Massachusetts di nome Kaylie Simon affermava di avere nuove informazioni sulla sparatoria e le chiedeva se fosse disponibile a un incontro. Nelson-Crockett fu sorpresa dalla domanda e le salì un po’ di ansia. Per decenni aveva accuratamente distolto lo sguardo ogni volta che era passata vicino al lotto fitto di pini dove un tempo sorgeva lo Hughes Cafe. Si sentiva però anche sollevata nel sapere che a qualcuno importava qualcosa di una parte della sua vita che pochi bianchi avevano preso sul serio.
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Credit Image: © Karla Cote/SOPA Images via ZUMA Press Wire





“La fine del secolo americano?”. È uscito il nuovo numero di MicroMega (1/2022)