Macron vero perdente, Mélenchon finto vincitore

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Laurent Joffrin, già direttore di Libération e del Nouvel Observateur, analizza l’esito elettorale in Francia.

Quando ci si astiene dal fare campagna elettorale, ci si dovrebbe stupire che gli elettori si astengano dal votare? È la disavventura di Emmanuel Macron in queste elezioni legislative. Ansioso, come il cardinale di Retz, di non uscire dall’ambiguità a proprio danno, ha accuratamente evitato ogni serio dibattito sul suo progetto per paura di insoddisfare questa o quella corrente di opinione. Coerentemente, ha completato questa mancanza di programma nominando un primo ministro che si distingue prima di tutto per la mancanza di carisma. Improvvisamente, la campagna è stata animata da Jean-Luc Mélenchon e dalla sua alleanza di sinistra. La coalizione presidenziale ne subisce gli effetti: oltre a un tasso di astensione record che inasprisce la crisi democratica, perde molti voti rispetto al 2017 e alle elezioni presidenziali del 2022. Al punto che potrebbe non avere la maggioranza nella futura assemblea.



In questo caso, la breve storia delle macronia vivrebbe una strana vicenda: passerebbe improvvisamente dallo zenit al crepuscolo. Rieletto trionfalmente, Emmanuel Macron dovrebbe governare improvvisamente senza maggioranza, costretto a scendere a compromessi con i suoi oppositori di destra, col rischio di lasciare insoddisfatta la sua sinistra e di dividere la coalizione che lo sostiene. Coscienti che il presidente non potrà ripresentarsi e che nessun delfino è emerso negli ultimi cinque anni, i suoi sostenitori avranno difficoltà a rimanere uniti. La distinzione destra-sinistra, tradizionale in Francia, potrebbe benissimo riguadagnare spazio durante un mandato di cinque anni che assomiglierebbe allora a un lungo declino della macronia. Assisteremo allora a una nuova ricomposizione del panorama politico francese.

La Nouvelle union populaire écologique et sociale (NUPES), che riunisce socialisti, ecologisti, comunisti e insoumis, ottiene un risultato pari a quello della maggioranza per numero di voti. Di conseguenza, i commentatori le attribuiscono un successo. Sono troppo ottimisti: la sinistra non progredisce rispetto alle precedenti elezioni legislative, la sua “dinamica unitaria” è meno efficace di quanto si dica. Per essa il risultato del 2022 è uguale alla somma delle parti del 2017, quando ciascuno si è presentato con i propri colori. E se consideriamo la massa degli elettori, tutta questa faccenda è… molto parziale. La sinistra ha un quarto dei voti, uno dei suoi punteggi più bassi. In effetti, l’unico partito a essere chiaramente progredito tra i due scrutini è il Rassemblement national, che sale al 18% e può sperare di avere un gruppo parlamentare.



È l’aritmetica a spiegare l’apparente buona prestazione della sinistra: unita, passa molto più spesso il primo turno. Ma questo successo è soprattutto quello dei mélenchonisti. Avevano 17 deputati, se ne possono aspettare più di cento. Gli altri partiti del NUPES fanno la figura degli ausiliari. Cosa che disegna i contorni della futura opposizione di sinistra: un gruppo dominato dalla sinistra radicale, in cui la France insoumise prende il posto a lungo occupato dal Partito socialista. Ed è qui che la vittoria di Mélenchon trova il suo limite. Se un giorno la sinistra vuole vincere – verità lapalissiana decisiva – dovrà riprendersi degli elettori del centro e della destra. E sappiamo che la France insoumise non è nella posizione migliore per farlo…



(traduzione dal francese di Ingrid Colanicchia)