Favole da Kabul

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Basta con la favoletta che ripropone spudorata il mito dell’imperialismo umanitario di Gladstone e di Kipling.

Ok, tutti i talebani sono orchi cattivi. Non sono come i comunisti che mangiavano i bambini, loro li violentano e basta. E tutti i 48 milioni di afghani sono minorenni indifesi che noi occidentali, prodi difensori NATO degli inermi, abbiamo vilmente lasciato orfani in preda a questi orribili babau. Le mamme afghane praticano addirittura il lancio dell’infante (oltre il filo spinato), come sembra mostrare una singola foto ritrasmessa migliaia di volte.



La narrazione che ci viene spiattellata di quel che sta succedendo a Kabul e dintorni è così demenziale che si fa fatica a credere come mai in così tanti ci crediamo. Dimentichiamo alcuni particolari. Il primo è che gli orchi cattivi, i barbari spauracchi, sono stati finanziati, armati, addestrati, incoraggiati per più di dieci anni dagli stessi americani per combattere altri protettori stranieri degli inermi afghani, solo che allora i paladini della modernità erano sovietici (oh perfido Osama bin Laden!). Il secondo, e più importante, è che gli orchi hanno riconquistato tutto l’Afghanistan in un paio di mesi senza praticamente sparare un colpo, cioè con l’accordo di tutta (o quasi) la popolazione afghana. Il corollario logico di questo fatto è che i 48 milioni di minorenni afghani non amano affatto i loro autonominatisi tutori, i benigni protettori delle donne e dei bambini. E soprattutto, come ha avuto il coraggio di dire solo una giornalista alla Bbc, il corollario di questa riconquista senza colpo ferire è che, nella quasi totalità, gli afghani odiano questi invasori occupanti che per venti anni li hanno trattati come bambini arretrati a cui inculcare le regole elementari della civiltà e della democrazia. Dimentichiamo sempre che, per quanto benigni e illuminati, in genere gli occupanti stranieri sono piuttosto invisi. Come già sapeva Rudyard Kipling, il fardello dell’uomo bianco è di sopportare l’ingratitudine dei popoli a cui pensa (o crede) di apportare la civiltà.

Immaginiamo una narrazione che racconti come gli eroici talebani, pur in posizione di micidiale inferiorità di armamenti, di risorse, di tecnologia, sono riusciti a cacciare dal proprio Paese gli occupanti della più potente coalizione al mondo. E che una minoranza di collaborazionisti (nella Francia liberata dai tedeschi le donne collaborazioniste venivano rapate a zero) voglia, con giustificato timore, scappare all’estero, come avvenne nella Saigon liberata dai vietcong nel 1975. Venti anni di occupazione creano qualche centinaio di migliaia, forse qualche milione di collaborazionisti.



Il che ci porta a guardare l’integralismo islamico come la nuova forma che assume la lotta anticoloniale: l’esempio più lampante e rivelatore è quel che sta succedendo nel Sahel, dove la guerra antifrancese ha preso le forme del fondamentalismo islamico. Non fa piacere dirlo a un fedele discepolo di Denis Diderot quale sono io, ma così è (dialettica dell’illuminismo, Theodor Adorno, eccetera). Non è quello che speravamo, che Marianna si mettesse il burqa.

Non sempre, anzi quasi mai, l’antiimperialismo è portatore di valori illuministici (basti pensare al cattolicesimo retrivo dei nazionalisti irlandesi nella loro lotta d’indipendenza contro la Gran Bretagna). E quindi la narrazione inversa alle fiabe per bambini è anch’essa una fiaba, perché non basta essere vittime per diventare innocenti. Non solo, ma come mi faceva notare Robin Blackburn, ogni volta che i popoli islamici hanno cercato di accedere alla modernità, all’indipendenza e alla democrazia per via laica, l’occidente glielo ha impedito con le buone, ma soprattutto con le cattive (si ricordi come fu estromesso il moderato iraniano Mohammad Mossadeq, o si pensi alla strage dei comunisti indonesiani), finché, come in un esperimento comportamentale, l’unica via che gli è stata lasciata aperta è quella integralista. Senza dimenticare che le due grandi rivoluzioni che hanno traghettato il mondo anglosassone nella modernità furono opera dei fondamentalisti: i padri pellegrini che sbarcando dal Mayflower nel 1620 fondarono quelli che sarebbero diventati gli Stati uniti d’America, e i puritani di Olivier Cromwell che furono i primi europei a tagliare la testa a un re (1649).







Perciò, per favore, basta con questa favoletta che ripropone spudorata il mito dell’imperialismo umanitario di Gladstone e di Kipling in cui tutti i media occidentali si strappano i capelli e si stracciano le vesti per non essere stati abbastanza imperialisti e non voler rimanere un altro secolo a occupare un paese che non avrebbero mai dovuto invadere.