Guerra civile in Sudan, oltre 110mila persone hanno lasciato il Paese

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Continuano i bombardamenti nonostante il cessate il fuoco.

La guerra civile che è scoppiata in Sudan lo scorso 15 aprile non accenna a fermarsi.
Nonostante il cessate il fuoco dichiarato formalmente, gli scontri tra l’esercito regolare guidato dal presidente Abdel Fattah al-Burhan e le Forze paramilitari di sostegno rapido continuano nella capitale sudanese di Khartoum. Il conteggio dei morti sale a 550 dall’inizio della guerra, con 5.000 feriti e 110mila persone che hanno lasciato il Paese e si sono rifugiate nelle nazioni vicine.



Secondo il The Guardian, in Ciad sono arrivate più di 30mila persone dall’inizio dei combattimenti, quasi la stessa cifra nel Sud Sudan, 40mila in Egitto, 11mila in Etiopia e 6mila nella Repubblica Centrafrica.
Il programma di assistenza alimentare d’emergenza delle Nazioni Unite dichiara che il numero di rifugiati potrebbe salire a 800mila. Quello che si sta verificando è una vera e propria tragedia umanitaria e i paesi di accoglienza hanno serie difficoltà d’assistenza ai rifugiati. Per esempio, in Etiopia si è da poco concluso uno scontro civile che ha visto coinvolte le forze governative e i ribelli del Tigray, mentre il Sud Sudan sta attraversando continue emergenze ambientali e umanitarie a causa del cambiamento climatico.

«Le testimonianze che ci arrivano dal posto sono terrificanti. Continuiamo ad appellarci alla comunità internazionale affinché non volti nuovamente le spalle al Sudan e non ripeta quanto accaduto nel 2019, quando una sollevazione popolare pose fine al regime di terrore di Omar al-Bashir, ma la popolazione sudanese venne poi di fatto lasciata sola. Le persone sono nuovamente in fuga, vittime di un conflitto tra forze di potere che lottano tra loro per il controllo del paese. È evidente che i civili ne subiscano le conseguenze senza un’adeguata protezione e assistenza. Tale atteggiamento è inaccettabile pretendiamo che le parti in conflitto garantiscano la protezione dei civili e permettano l’accesso agli aiuti umanitari per tutti coloro che ne hanno bisogno», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che si sta impegnando nel sostenere la popolazione civile vittima delle violenze in Sudan.
«Quanto sta accadendo in Sudan rappresenta anche il fallimento dell’impegno della comunità internazionale a collaborare alla giustizia internazionale», commenta Noury. «Infatti, la Corte Penale internazionale ha emesso sette mandati di cattura, quasi 15 anni fa nei confronti dell’ex presidente al-Bashir e di altri esponenti dell’esercito e dei paramilitari, ma solo uno di essi è stato eseguito. Lo stesso al-Bashir, il principale sospettato, è ancora in fuga e addirittura libero nel suo paese».





Foto Twitter | African Center for strategic studies