Diritti violati e territori inquinati: “Le imprese rispondano dei loro crimini”

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Al via “Impresa2030 – Diamoci una regolata”, una campagna per obbligare le grandi imprese a rispettare le leggi.

Secondo le stime, al mondo ci sono circa 16 milioni di persone sottoposte a regimi lavorativi definibili moderna schiavitù. Molti studi ci dicono che le prime venti imprese energetiche, a partire dal 1965, sono responsabili del 35% delle emissioni di gas serra. Inoltre, nel solo 2020, sono quasi trecento i difensori dei diritti umani che sono stati uccisi perché si opponevano ad attività nocive e impattanti sulla salute e sul benessere delle loro comunità.



Questi tre dati hanno in comune un unico denominatore: sono quasi sempre legati e derivati dalla responsabilità delle imprese che, ancora oggi, agiscono in contesti di sostanziale impunità. Nonostante le loro attività compromettano spesso l’ambiente e le condizioni di vita di intere comunità, esse riescono a evitare di restare invischiate nelle maglie della legge e delle regolamentazioni nazionali perché dotate di forme e strutture complesse da regolare che travalicano i confini degli Stati e delle norme in questione.

Questo accade in Italia, in Europa, nel mondo. Ma nel nostro Paese accade un po’ troppo spesso, almeno secondo gli osservatori ONU sui diritti umani che – in visita dal 27 settembre al 7 ottobre – hanno definito scioccanti le condizioni del lavoro in Italia.



Ed è proprio in Italia che un gruppo di grandi organizzazioni ha deciso di promuovere una campagna nazionale sui diritti umani e l’ambiente in relazione alle attività di impresa. La campagna si chiama Impresa2030 – Diamoci una regolata ed è stata lanciata lo scorso 21 ottobre da una rete di autorevoli realtà impegnate nel sociale e a difesa dei diritti umani. Promotori e primi firmatari dell’appello associato alla campagna sono infatti: ActionAid Italia, Equo Garantito, Fair, Focsiv, Fondazione Finanza Etica, Human Rights International Corner (HRIC), Mani Tese, Oxfam Italia, Save the Children e WeWorld.

“Le imprese multinazionali si trovano oggi a operare in tutto il mondo in un contesto di sostanziale impunità” ha dichiarato Giosuè De Salvo (Mani Tese), portavoce della campagna. “Molte di loro sono coinvolte in devastazioni ambientali, violazioni sistematiche dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, espulsioni di popoli indigeni e sfruttamento del lavoro minorile”.





Lo scopo è ambizioso e travalica i confini nazionali: si tratta di fare pressione sui rappresentanti istituzionali italiani ed europei perché l’Unione Europea emetta una direttiva che vincoli le imprese a dotarsi di una due diligence (dovuta diligenza) che imponga loro di adottare politiche interne e pratiche efficaci per il rispetto di diritti umani ed ecosistemi, sia con la propria azione diretta sia con le proprie catene di fornitura globali.

Proprio nelle prossime settimane la Commissione Europea elaborerà la proposta di una direttiva che vada in questa direzione, e il network italiano spingerà affinché le pressioni di imprese e lobby non la rendano un atto puramente formale, indebolendola in fase di negoziazione. “A questo fine, come organizzazioni della società civile abbiamo lanciato questa campagna, e con essa un appello, rivolto a decisori politici italiani ed europei, cui chiediamo di farsi portatori di una nuova cultura di impresa che metta al primo posto i diritti delle persone e dell’ambiente, subordinando a questi i profitti” spiega Martina Rogato (Human Rights International Corner – HRIC), portavoce della campagna.

Insieme alla rete italiana, altre associazioni, attivisti e attiviste si stanno organizzando negli altri Paesi d’Europa: l’obiettivo è impostare un piano d’azione e pressione coordinato che metta alle strette gli europarlamentari e li convinca a tenere il punto sulla direttiva, senza cedere a pressioni esterne.

Le richieste sono molto articolate e si inseriscono nel solco dei Principal Elements elaborati dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, identificabili in tre macroaree: il dovere degli Stati di proteggere da abusi e violazioni dei diritti umani; la responsabilità da parte delle imprese di rispettare i diritti umani, non soltanto nella propria azione ma in tutte le aziende che partecipano alla propria filiera; la garanzia di accesso libero e indiscriminato alla giustizia per le vittime di violazioni.



Giunti a quella che sembra la fine di un periodo di chiusura, e nella prospettiva di una ripartenza per il nostro Paese, l’Europa e l’intero Pianeta, appare importante che il mondo post pandemico sia orientato ad essere sostenibile non solo dal punto di vista climatico ma anche della vivibilità e del benessere delle comunità che lo abitano: una direttiva che imponga alle attività economiche di avere come priorità il rispetto dell’ambiente e delle persone sembra condurci esattamente in questa direzione. Ed è cruciale che essa sia più di un mero atto formale.