Un mafioso è mafioso per sempre?

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Il mafioso è legato all'organizzazione da un giuramento di fedeltà. Per concedergli benefici lo Stato deve essere certo che quel giuramento sia rotto.

Com’è noto la Corte costituzionale, con un’ordinanza pronunziata il 15.4.2021, ha “aperto” ai mafiosi non pentiti l’ergastolo ostativo per quanto riguarda il beneficio della liberazione condizionale. L’incostituzionalità viene riferita alla violazione di tre norme. Degli articoli 3 Costituzione e 3 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo abbiamo già parlato in due precedenti post. Si pone ora – con riferimento all’art. 27 Costituzione – la questione più delicata e controversa di tutte: la persistenza della pericolosità sociale del detenuto si può escludere soltanto in caso di pentimento oppure anche senza?



Il valore dell’art. 27 della Carta (le pene devono tendere alla rieducazione del condannato) è incontestabile. Ci mancherebbe. Ma quando si tratta di mafiosi irriducibili non pentiti (va ribadito) è legittimo porsi alcuni interrogativi. Il mafioso giura fedeltà perpetua all’organizzazione e il suo status di mafioso è per sempre. Lo dicono l’esperienza e i più qualificati studi sulla mentalità mafiosa. Il mafioso non pentito con­tinua a essere convinto di appartenere a una “razza” speciale, nella quale rientrano soltanto coloro che sono davvero uomini (non a caso autodefinitisi “d’onore”). Tutti gli altri, quelli del mondo esterno, non sono uomini. Sono individui da assogget­tare. Non persone ma oggetti, esseri disumanizzati.

Tanto premesso, si può trarne la ragionevole conseguenza che i mafiosi per fruire dei benefici penitenziari devono offrire prove certe di rinunzia allo status di uomo d’onore? Che l’unica condotta univoca, l’unica dimostrazione affidabile di voler disertare davvero dall’organizza­zione criminale, cessando di esserne strutturalmente parte, è il pentimento, la collaborazione con lo Stato? Mentre tutte le altre, in quanto disancorate da possibilità concrete di verifica effettiva, sono ambigue? Comprese le varie relazioni (carcere, Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica, Procure antimafia), a volte afflitte da un formalismo burocratico che può renderle solo presuntive?



Senza pentimento la decisione diventa un azzardo, ci si consegna alle strategie del mafioso, tutto si riduce ad un atto di fede nei suoi confronti. Un pericoloso salto nel buio.

In altre parole, la mia opinione è che il “doppio binario” per i mafiosi non pentiti (fino all’ergastolo ostativo) può ritenersi rispondente a criteri di ragionevolezza basati sulla concreta specificità del problema mafia. Non si tratta di esser giustizialisti, manettari o forcaioli. È la realtà specifica della mafia (da ricordare fino alla noia) che porta a concludere come essa escluda che il vincolo dell’associazione criminale possa cessare fuori dell’ipotesi di collaborazione.





Nel film “Il rapporto Pelican” un’impareggiabile Julia Roberts, nel ruolo di una studentessa di legge, al professore che le chiede perché la Corte suprema non abbia deciso una certa questione secondo la sua opinione, risponde “forse perché la Corte ha sbagliato…”. Non oso arrivare a tanto, va da sé. Posso soltanto prendere atto con rispetto delle motivazioni che hanno portato la Consulta a decidere in un certo senso. Nello stesso tempo, poiché gli effetti della pronunzia di incostituzionalità sono stati differiti di un anno allo scopo di consentire un intervento del Parlamento, mi auguro che questo (seguendo i “paletti” fissati dalla Consulta) riesca a trovare una qualche buona soluzione. La strada è impervia, e tuttavia c’è ancora margine perché alla fine si possano evitare contraccolpi troppo rovinosi per l’antimafia.



CREDITO FOTO: Il boss di Cosa Nostra Salvatore Riina alla sua prima udienza del processo sulla strage di Capaci, nell’ aula-bunker dell’Ucciardone, Palermo, 28 febbraio 1993. ANSA