Quando ci scegliamo la famiglia

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In “Tutto il bene, tutto il male” Carola Carulli, volto del TG2, racconta una storia di donne e lacerazioni, famiglie mancate e acquisite.

«Ho sempre pensato che mia zia fosse folle. Di quei pazzi che scombussolano tutto, di quelli che rovesciano le cose a testa in giù per farne uscire anche la sabbia ficcata nelle tasche».
Molti di noi conoscono Carola Carulli come voce del TG2, dove i suoi servizi culturali sono attesi con interesse da chi è appassionato di musica e letteratura. Io che la seguivo da tempo sui social e avevo notato la sua capacità nel rendere per iscritto emozioni, pensieri fluidi e capacità d’introspezione, mi chiedevo come mai non si decidesse a pubblicare un libro, lei che sulle narrazioni aveva costruito una fulgida carriera. Ora il libro è arrivato, grazie anche al fiuto di Salani, e si intitola “Tutto il bene, tutto il male”.



Si tratta di una storia di donne e lacerazioni – ma anche ricomposizioni – che racconta famiglie mancate e famiglie acquisite, padri che non sanno svolgere in equilibrio il loro ruolo e la scelta come risposta possibile.

«Siamo figli di chiunque sia in grado di prendersi cura di noi» dice Levante nello strillo in fascetta e questo romanzo lo dimostra. Voce narrante è Sveva, che elegge l’adorata zia Alma a sostituta materna, tessendo con lei un rapporto fondante che, con gli anni diventerà sempre più indissolubile. Del resto le due sorelle, Alma e Sarah, non hanno avuto una famiglia esemplare e forse è questo il motivo per cui la madre di Sveva non riesce proprio a mostrare un atteggiamento accudente.



Personaggio sincero e vibrante, Alma è una di quelle donne che non si dimenticano in virtù delle belle sensazioni che lasciano dietro di sé. Vive in una pittoresca casa sul mare e fa la sceneggiatrice. “Epicentro contagioso” capace di passare dal silenzio all’irritazione, effonde energia attorno a sé e insegna alla nipote, tra le altre cose, a restare autentica, a non piegarsi mai a ciò che la società le imporrebbe in quanto donna. Lei per prima esce dalle schiere omologate sia per forma mentis sia per condotta di vita e gusti personali:

«Riusciva a sdrammatizzare tutto, quando voleva, per quanto fosse drammatica su tutto il resto. Quanto era bella, con quelle gonne a fiori e quegli zoccoli di legno, i suoi mille anelli infilati sulle dita sottili che portava come qualcosa di sacro. Aveva una collezione di anelli con i simboli più diversi, molti venivano dai suoi viaggi in Oriente, altri li aveva comprati nei mercatini dell’usato».





Proprio duranti i lavori sul set avviene un incontro speciale, con una creatura simile a lei, connotata dalla sua stessa solitudine e dalla sua stessa predisposizione a lasciarsi andare all’esistenza come se galoppasse su un cavallo selvaggio. Lui si chiama Tommaso, vive per il mare, capelli molto ricci, ciglia lunghissime, volto alla greca. Colleziona bisso, altrimenti detto seta di mare (un filamento prodotto da una conchiglia) e che tra i due nasca qualcosa sembra il naturale epilogo per due anime così speciali. Ma il romanzo non è certo scontato e quello che accadrà vi lascerà col fiato sospeso fino all’ultima pagina.



Carola Carulli dimostra di aver fatto tesoro di tutti i libri letti e di saper scrivere con dolcezza e potenza allo stesso tempo. Perché è questo che richiede la materia trattata, un magma complesso e stratificato che però tutti noi tocchiamo con mano ogni giorno: quanto possano essere inquinate, talvolta, le relazioni imposte e quanto siano invece salvifiche quelle che ci scegliamo, magari nonostante gli ostacoli. In tutto ciò non dimentichiamo che parte rilevante ha anche l’amicizia, come dimostra la vigorosa figura della piccola Dafne, un’amica vera che in molte vorrebbero avere accanto.