Campane a morto per la giustizia penale

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Arriva la riforma Nordio a dare il colpo di grazia alla Giustizia e ai magistrati di questo Paese.

Si è appena spento il suono delle campane per la scomparsa di Berlusconi, che le stesse campane hanno cominciato a suonare – sempre a morto – per la giustizia penale.
Altro che leggi ad personam: ora è la “persona” a dettare, dall’aldilà e dopo un lungo lavorio, la riforma della giustizia penale tout court.
Di quella, almeno, che vorrebbe colpire i malandrini peggiori e più sfacciatamente potenti. Perché è evidente che la cosiddetta “riforma Nordio” non si preoccupa della criminalità ordinaria, quella popolata di poveri cristi o manovali della delinquenza organizzata, nei cui confronti il sistema penale mantiene tutta la sua implacabile durezza. No: la riforma è “tailored”, confezionata su misura per che dispone di potere, influenze, denaro sufficienti per avvalersi di ogni scappatoia legale: e al Diavolo, come sempre, i poveri diavoli.



La riforma di Nordio (che lo ha ammesso candidamente: “Mi dispiace che B. non veda la riforma”) è costruita puntigliosamente a immagine e sulla falsariga delle vicende giudiziarie del suo nume ispiratore e protettore: le ripercorre passo passo, intervenendo puntualmente là, dove l’ex cavaliere è caduto o ha rischiato di cadere. Letta in trasparenza, la “riforma” non è che il racconto oggi trionfante di quella vicenda.

Non è stata un’impresa facile. Da mesi i turiferari della politica, della stampa, delle televisioni padronali avevano lavorato ai fianchi una magistratura penale già pericolosamente alle corde, rassegnata, in attesa del gong che segnasse la fine dell’incontro. La scomparsa di B. è stato il suonare di quel gong e la riforma Nordio vorrebbe ora segnare il k.o. dei giudici.
Non, intendiamoci, che una riforma vera, democratica e civile, non fosse (non sia ancora) disperatamente necessaria. La barca fa acqua da ogni parte. Peccato che il buon Nordio si ostini a intervenire là dove non ci sono falle significative, o dove non occorrano che seri, severi interventi di manutenzione, sempre trascurati da governi in cerca di consensi.
La mannaia del ministro cade sul reato di cui all’art.323 del Codice penale (abuso di atti d’ufficio) non per una imperfetta, incompleta, troppo generica formulazione, ma – piuttosto (dobbiamo ammetterlo) per un uso generoso o addirittura l’abuso fattone da una magistratura inquirente resa a volte troppo audace dalla crisi della politica.



Un discorso pressoché analogo va fatto per la pubblicazione di conversazioni risultata irrilevanti, inutili, illegittime, causa di inutili sofferenze per chi ne è ingiustamente protagonista. E, tuttavia, la legislazione fiorita attorno a questo grave problema è completa e – sulla carta – sufficiente a impedire abusi o strumentalizzazioni. È il mondo dell’informazione a essersi reso pressoché incontrollabile, là dove l’unico controllo dovrebbe essere quello della deontologia, della responsabilità, di una civiltà del diritto che sembra non appartenere più al dna del nostro popolo.
E che dire dell’autentica novità della riforma, l’incredibile meccanismo denominato icasticamente “avviso di arresto”? Anche in questo caso, una misura estrema – la privazione della libertà personale – già circondata da molteplici e opportune cautele, viene gettata, come il famoso bambino, insieme all’acqua sporca degli abusi dei PM che vi hanno fatto ricorso in casi più o meno clamorosi, ma comunque enormemente inferiori per numero a quelli in cui il ricorso alla carcerazione preventiva si è rivelata una funzione essenziale per la sicurezza dei cittadini.

Come è più che evidente, la riforma si fonda sull’accorta enfatizzazione – che si protrae da mesi – di casi di malagiustizia clamorosi, si, ma limitati, ingigantiti e abilmente portati alla ribalta dai mezzi di informazione ‘serventi’ (o asserviti) alle posizioni certamente non democratiche di cui B. si avvia ad essere, d’ora in poi, il santo protettore.
È un’azione a largo raggio, quella promossa nei confronti delle magistrature (si veda la Corte dei conti) e delle autorità che La legge vorrebbe indipendenti (si veda l’ANAC), al fine di soffocare ogni significativo controllo sull’operato, notoriamente virtuoso, della nostra classe politica: l’unica vera “classe” dalla quale finiremo per venire oppressi in maniera indolore, senza nemmeno essercene accorti.







Foto Governo italiano, Presidenza del consiglio dei ministri