Facciamo chiarezza sulla sentenza della giudice di Catania

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L’ordinanza che non ha convalidato il trattenimento di alcuni cittadini tunisini, ha prodotto una polemica stucchevole e non poco pericolosa.

La sentenza del giudice di Catania che non ha convalidato il provvedimento del Questore che disponeva il trattenimento di alcuni cittadini tunisini, ha prodotto una polemica stucchevole e non poco pericolosa per l’indipendenza dei nostri giudici. È forse il caso di leggere con più attenzione il provvedimento, individuandone l’esatta – e limitata – portata, certamente non tale da pregiudicare il rapporto tra potere esecutivo   e giurisdizione.



Si potrà constatare allora che l’ordinanza del giudice di Catania non si contrappone provocatoriamente alla misura adottata dal Questore di Catania, ma si limita a ritenerla “…non corredata da idonea motivazione (in quanto) difetta ogni valutazione su base individuale delle esigenze di protezione manifestate, nonché della necessità e proporzionalità della misura in relazione alla possibilità di applicare misure meno coercitive”. In buona sostanza: il giudice catanese si è limitato a osservare che il provvedimento di trattenimento – in contrasto con l’articolo 38 della Direttiva 32/2013 UE – aveva omesso di valutare l’ammissibilità, ai sensi dell’art.33 della Direttiva (ovvero la presenza dei requisiti formali per il suo esame), della domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Questo, evidentemente, sul presupposto che la mera provenienza del richiedente asilo da paese di origine sicuro, la Tunisia, escludesse in principio e automaticamente l’ammissibilità della domanda. In realtà, ha osservato il giudice, richiamando la sentenza 26 maggio 1997 n.4674 delle Sezioni Unite della Cassazione e l’art. 10 comma 3 della nostra Costituzione, “deve escludersi che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale”. La commissione territoriale competente – questo il principio cui il giudice di Catania si è attenuto – non può ispirarsi a criteri automatici e generali di esclusione dall’esame nel merito della domanda proposta dal richiedente. Essa deve valutare, ai fini dell’ammissibilità, le condizioni concrete in cui versa il Paese di origine, nel momento in cui è avvenuto l’allontanamento. Solo una volta soddisfatto questo requisito, la Commissione potrà procedere nel merito alla valutazione “di merito” delle ragioni personali addotte dal richiedente, in termini di necessità a proporzionalità della misura.

Dal che, due conseguenze. La prima, consistente nella possibilità della Cassazione di ribaltare il principio affermato dall’ordinanza e di giudicare la provenienza da un Paese dichiarato ufficialmente e formalmente “sicuro” come una causa sufficiente di inammissibilità della domanda.
La seconda, suggerita sommessamente all’Autorità governativa, consiste nella possibilità di un nuovo provvedimento, che tenga conto dell’indicazione proveniente dal magistrato e motivi adeguatamente sia sull’eventuale inammissibilità, che – in caso contrario – sull’assenza o la presenza dei requisiti soggettivi e personali che giustifichino la ‘necessità e proporzionalità’ della misura.
Questo per ricondurre la vicenda nell’alveo di una corretta e normale dialettica tra potere giudiziario e potere esecutivo.





FOTO: Flickr | edoardo baraldi