Suonerie / 10: Wadada Leo Smith, Neil Young, Festetics Quartet

Categorie: Cultura, Rubriche

In questa puntata: “The Emerald Duets” – Wadada Leo Smith / “World Record” – Neil Young / “Haydn Quartet” – Festetics Quartet.

Una imprescindibile quanto impossibile occasione per far risuonare le note attraverso le parole. Sognando e tentando di attraversare la musica in tutte le sue variegate manifestazioni. Daniele Barbieri, Giovanni Carbone e Mauro Antonio Miglieruolo nel gran mare delle proposte sonore pescheranno spigole (cioè spigolature) mensili adatte a fornire un’idea di quel che si muove ed è subito fruibile da coloro che alle musiche si volgono per migliorare la qualità della vita. Il trio suggerisce solo dopo che quei suoni hanno acceso una qualche luce fra orecchie, cuore e mente.



La coppia scoppia? No, se c’è Wadada
di Daniele Babieri

Da qualche parte fra la solitudine e la folla capita di essere in due. All’inizio tutto bene ma poi … la coppia scoppia? Non penso a voi bipedi terrestri ma ai duetti musicali. Mesi fa ho ascoltato dal vivo Enrico Rava e Fred Hersch (ora è uscito un album da Ecm): erano due ma sembravano centomila. Chi ama il jazz conoscerà certi vecchi duetti di Oscar Peterson (o Michel Petrucciani) con i mejo soci in circolazione: dalle parti della dolcezza. Mentre l’album «The Long March» di Archie Shepp e Max Roach era dalle parti dell’urlo ma egualmente indimenticabile. Potrei continuare a lungo; di recente hanno giocato con i miei lobi (e i miei lombi) due album dove il piano di Luigi Bozzolan e il sax Eugenio Colombo rischiavano seriamente di occupare da soli l’intera galassia.



Dunque il problema non c’è. Sì, ma un cofanetto con 5 album di duetti? Per chiudere le celebrazioni dei suoi 80 anni (cascate di album: 23 mi pare) Wadada Leo Smith ha pubblicato con la TUM «The Emerald Duets»: una tromba dunque in dialogo con 4 batteristi: Pheeroan AkLaff (non ci sono refusi, si chiama così), l’ottimo Andrew Cyrille, Han Bennink e due volte con Jack DeJohnette, suo vecchio partner in mille imprese.

Il risultato è eccezionale. Presi e subito amati: continuo ad ascoltarli uno dopo l’altro, ad aprire porte misteriose. Quasi sempre prevale il lirismo ma il free jazz è spesso dietro l’angolo. Ho scoperto, per inciso (frase da non scrivere mai parlando di un cd?) che ogni tanto WLS – insomma Wadada Leo Smith – si diletta al piano.





Del resto in 80 anni ha navigato molti mari: etnomusicologia, religione rastafariana (da qui il nome Wadada), insegnamento, la ricerca su strumenti di world music (koto, kalimba, atenteben eccetera). Ma ha anche fatto il maestro di liuto e per le sue composizioni usa spesso un sistema di notazione grafica che chiama «Ankhrassation» ma non chiedetemi di più perché qui sinceramente confesso i miei limiti.

Se fra i 5 dovessi sceglierne uno direi «Havana Cuba» con Cyrille soprattutto per il primo brano «The Patriot Act, Uncostitutional and a Force that Destroy Democracy» che in altra versione si può vedere in rete (se siete “smanettoni”).

Non sempre WLS mi piace tanto come qui: ad esempio nell’affollato «Rosa Parks: pure Love» del 2018 ero rimasto con alcune perplessità sull’uso delle voci ma comunque… roba forte. In coppia o in una folla lui sa farsi ascoltare e amare.

Un record del mondo
di Giovanni Carbone

Non è mai trepidante attesa quella di un nuovo disco di Neil Young, piuttosto irrinunciabile necessità che ve ne sia uno a breve ché il settantasettenne cantautore canadese ci ha abituati male, e ogni suo album è, per forza di cose, evento imperdibile. Neil Young pure quando ripercorre strade note lo fa aprendo orizzonti nuovi, con la musica che vive la contraddizione virtuosa d’essere sempre coerente con se stessa, anche se cerca desueti e improbabili approdi, con le liriche che non demordono dal rimanere in permanente adesione dell’oggi. L’uscita del nuovo album, «World Record», è prevista fra novembre e dicembre di quest’anno per la Reprise Records. Ad accompagnarlo nella registrazione, effettuata dal vivo negli storici studi Shangri-La di Malibu (non è la prima volta che Young li utilizza, l’aveva già fatto nel 2016 con «Peace Trail»), i fidati membri reduci dei Crazy Horse, suoi compagni in una quindicina di album: Billy Talbot al basso, Ralph Molina alla batteria e Nils Lofgren, chitarra e tastiera. La produzione è affidata invece a Rick Rubin.

L’annuncio dell’imminente pubblicazione del disco è stato dato dal cantautore proprio dal podcast Broken Record del produttore. Nella stessa occasione, un riferimento preciso alla possibilità di ascoltarvi combinazioni di strumenti inaudite, assolutamente nuove ed imprevedibili. Non è difficile immaginare sia così, non solo per la storia di Young, ma anche perché ve n’è conferma nell’ascolto di «Love Earth», l’unico brano rilasciato ad anticipare l’album. Il pezzo è autentico inno d’amore verso la Terra, assai meno acido e tirato, di certo, rispetto alle consuete atmosfere del Neil Young più noto, ma musicalmente delicato come il suo testo: «Ama la Terra / E il tuo amore torna da te / Ama la Terra / Una cosa così facile da fare / Ama la Terra / Finché l’acqua e l’aria non saranno puri / Dagli uccelli nel cielo / Ai pesci nel profondo del mare…».

Del disco, che sarà ovviamente disponibile anche su vinile, fanno parte dieci tracce:

1. Love Earth, 2. Overhead, 3. I Walk With You (earth ringtone), 4. This Old Planet (changing days), 5. The World (is in trouble now), 6. Break The Chain, 7. The Long Day Before, 8. Walkin’ On The Road (to the future), 9. The Wonder Won’t Wait, 10. Chevrolet, e poi This Old Planet in ripresa.

Dalle anticipazioni, in tutte si respira quanto già emerso in «Love Earth», un richiamo profondo e poetico al rispetto della natura, ai doni della Terra, al rischio che si corre nel lasciarli andare, nel dissiparli per avidità. Dunque, un Neil Young ancora aderente alla stringente attualità, come quello che aveva rivisitato nel 2020 «Shut It Down» (dall’album «Colorado») corredandolo del video realizzato dalla moglie Daryl Hannah, a costruire una particolarissima originale narrazione per suoni, parole e immagini della reazione del mondo alla pandemia di Coronavirus.

La copertina dell’album è una fotografia del padre di Young, il giornalista Scott, con la sua data di nascita in bella evidenza.

È sorprendente come questo “vecchietto” riesca ancora a emozionarci, a concepire traiettorie nuove con la sua sei corde, sempre e comunque a garantirci viaggi nei suoi spazi infiniti cui è difficile rinunciare. Lunga vita Neil, per i prossimi 42 album.

Haydn Quartet (Festetics quartet)
di Mauro Antonio Miglieruolo

Dal 22 luglio è disponibile la raccolta complete dei quartetti di Haydn eseguiti dal Festetics Quartet, composto da: Istvan Kertesz, primo violino; Erika Petoefi, secondo violino; Peter Ligeti, Kriszta Veghelyi, viola; Rezső Pertorini, violoncello.

Il Festetics Quartet combina l’uso di strumenti d’epoca con la leggendaria tradizione dei quartetti d’archi ungheresi. Il quartetto prende il nome dalla famiglia Festetics, fondatrice della famosa libreria musicale Helikon. Il suo repertorio comprende quartetti d’archi di Josef Haydn, Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven e Franz Schubert.

L’occasione, per chi può, è da prendere al volo. Haydn è uno dei rari musicisti di musica classica in grado di racchiudere in sé una estrema leggibilità (diciamo meglio: ascoltabilità) con una capacità di scrittura di notevole valore formale. La sua immensa produzione musicale comprende 104 sinfonie, 47 divertimenti, più di 50 concerti per diversi strumenti e orchestra, messe, oratori e altro.

Negli studi da virtuoso è precoce come tanti altri grandi della musica. Ad Hainbour an der Donau, già a sei anni, ebbe la possibilità di iniziare a esercitarsi con clavicembalo e violino; ma in quanto a compositore non ebbe mai una formazione regolare. È sostanzialmente una autodidatta. «Ho più udito che studiato» sarà costretto ad ammettere a un certo momento della sua vita. Nel 1776 nelle note autobiografiche scriverà: «non componevo in modo corretto, ma ebbi la fortuna di apprendere i princìpi fondamentali della composizione dal signor Nicola Porpora, che era allora a Vienna». In proposito Greisinger riporta i ricordi di Haydn: «Non mancavano certo gli “asino”, “birbante” o le gomitate nelle reni, ma non me la prendevo, perché da Porpora appresi molto di canto, di composizione e di italiano».

Ha completato la formazione studiando anche le composizioni di Carl Philipp Emmanuel Bach, Johann Joseph Fux e Johann Mattheson.

Persona di buon carattere, gioviale e ottimista, riversava volentieri tale propensione nelle sue opere, caratterizzate da strutture ampie e articolate tendenti alla brevità e alla semplicità; e dentro le quali non esita a inserire scherzi e sorprese musicali. Sull’opera di Haydn si basa molto dello sviluppo successivo delle varie forme classiche, in particolare la sonata e il quartetto.

Notevoli in particolare i sei quartetti per archi op. 33, che rappresentano un punto di svolta nella sua creatività; e dei quali lo stesso Haydn ebbe a dire che erano scritti «in un modo completamente nuovo e speciale».

Un buon saggio della bravura esecutiva del Quartetto Festetics e dell’eccellenza musicale di Haydn può essere goduto utilizzando il link che segue:



È il brano iniziale di una versione risalente al 2014 degli stessi quartetti.