Colpo di stato in Niger, una sfida per la democrazia

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I golpisti sono forti dei e i risentimenti antifrancesi della popolazione. L’accusa ai francesi è quella di aver depredato il paese dell’uranio.

Dopo il colpo di stato dei militari in Niger ora cominciano ad evidenziarsi i risentimenti di una popolazione che, dopo tutto, è quella di un continente sofferto e di una democrazia in divenire. Un migliaio di manifestanti filogolpisti ha assaltato l’ambasciata francese e inneggiato alla Russia e a Putin. Il New York Times all’indomani della destituzione del presidente filofrancese Bazoum si era affidato al sentiment di un tassista della capitale Niamey, convinto che i militari seguiranno il percorso del Burkina Faso e del Mali: «Cacceranno la Francia e riprenderanno pienamente la sovranità». L’accusa ai francesi è soprattutto per avere depredato il paese della sua risorsa principale, l’uranio, senza che la popolazione ricevesse vantaggi. Il Niger è il sesto produttore al mondo di uranio con una produzione di 3.527 tonnellate, pari al 5% di quella mondiale. La multinazionale francese Orano ha un accordo di concessione valido fino al 2040, ma per la World Bank su una popolazione di 27 milioni di abitanti solo il 18,6% ha accesso all’elettricità. Una ong nigerina, la Aghir In’Man, ha denunciato le conseguenze del radon per chi lavora nelle miniere e per la popolazione se disperso dai venti del deserto. Tuttavia a lucrare e a incidere sul debito sovrano del terzo paese più povero al mondo ci sono anche gli interessi della Cina che estrae petrolio e ha costruito ponti e palazzi, e la Turchia che vi esporta armi e droni e ha investito sul nuovo aeroporto di Niamey.



In questi scenari affaristici anche la corruzione è un aspetto percepito dalla popolazione che non riconosce l’impegno delle istituzioni nel contrastarla. Un caso emblematico ha riguardato il programma delle Nazioni Unite HYPREP per ripulire il delta del Niger dalle fuoriuscite di petrolio, finanziato da compagnie petrolifere per un miliardo di dollari: sarebbero state create società di pulizia inesistenti, laboratori fasulli e i finanziamenti sarebbero affluiti a politici aiutati a essere rieletti.
Il risentimento verso le truppe francesi e quelle occidentali pure presenti, oltre che contro il governo, è pure per la violenza jihadista ancora incombente sul Paese: la popolazione è costretta a esodi forzati sulla capitale per sfuggire alle incursioni nell’ovest dei militanti qaedisti e del Daesh, e nel sud-est di Boko Haram. Le famiglie nigerine sono prevalentemente musulmane, ma la loro tradizione è quella influenzata dai sufi, monaci predicatori generalmente ispirati da un islam pacifico, per cui le violenze – oggettivamente in calo – sono vissute con forte preoccupazione.
Diversi analisti ritengono che alla base del golpe ci sia il personalismo del generale Tchiani, comandante della guardia presidenziale, che a 62 anni sarebbe stato invitato dal presidente a mettersi da parte. Ciò non toglie la gravità di un contesto in cui il resto dell’esercito e una parte della popolazione lo sostengono.
L’Unione Africana ha dato l’ultimatum affinché entro 15 giorni sia ripristinato l’ordine costituzionale. Ancora al NYT una casalinga ha detto: «I militari dovrebbero andare a combattere i terroristi…non faranno meglio di Bazoum e ci riporteranno indietro di 30 anni». Stati Uniti e Unione Europea, d’intesa con le organizzazioni africane, intendono sostenere la democrazia, su cui ora sono concrete le insidie della Wagner e della Russia. Si farebbe bene però – anche in Italia – a guardare al Niger non solo per l’uranio o come fortezza contro i migranti del Sahel.
Di Maurizio Delli Santi (membro dell’International Law Association)





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