Sabbia di clessidra

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Una poesia sul conflitto israelo-palestinese e le vittime di Gaza.

Sabbia di clessidra
Corsivo in versi sul dopo Gaza
di Ennio Cavalli



Dico “noi ebrei”, anche se non lo siamo,
perché nessuno pensi di bruciare bandiere
o che il domani sia un cocktail di oltranzismi.
Noi ebrei, perseguitati da quel dì,
sempre lo fummo e potrebbe bastare.
Ma il carico da undici
è che perseguitiamo noi stessi, la conta non contempla
altre vittime o fattori,
la paura del peggio ha messo troppe mani avanti.

Smantellata con Gaza ogni strisciolina di coesistenza,
diroccate le rocche dei carnefici del 7 ottobre,
ci ritroviamo con questa fascia lombare, questo cinto erniario,
questo laccio emostatico, questa Striscia sdrucita
tutta macerie e donne urlanti, per farne cosa, annetterla?



La tentazione c’è. Ricostruire senza tunnel e senza Hamas
tornare al mare come una volta, a mangiare un pesce
più saporito del nostro, speziato, all’araba.
A quel punto si saranno messi in proprio, lavoreranno nel turismo,
liberi di andare e venire dallo Stato
che un burrascoso buonsenso e la comunità internazionale
avranno finalmente riconosciuto loro, con timbri e scuse,
a noi ancora una Striscia, a loro quello che è loro:
la Cisgiordania depurata dai coloni che nel tempo
ne hanno fatto un groviera tutto buchi,
un Far West di sottrazioni, un rodeo di insediamenti.

Serve un flashback disincantato, l’ovvietà dell’equità.
Via da Hebron e dintorni,
basta col fiato sul collo di Nablus e Ramallah,
gineprai pericolosi, costellazione di disordini.
Via il malanimo dei secoli,
non contano gli stivali sul terreno e neanche andare per il sottile,
la Cisgiordania è loro, salvo i luoghi sacri in comodato.





Il di più di deserto accumulato, sabbia di clessidra:
non capovolgerla soffoca la storia.
Il nostro peregrinare non è il solito giro di blues,
laggiù il Mar Morto macina nel sale il domani.
Quel nome stregato, Mar Morto, strappa i capelli alle vittime,
le rocce chiedono tregua alle dune, le dune alle oasi,
le oasi alla luna vecchia.
“Non rubare l’orizzonte degli altri” ripete spavaldo
un pappagallo profetico e ancora non la facciamo finita.

I confini non sono prigioni dove relegare i vinti,
i confini sono lì per essere varcati dai confinanti
e scoprire un aldilà di passaggi, paesaggi
merci e notizie, odori, colori, innamoramenti.
La persecuzione di sé comincia quando si esagera
coi sensi di colpa per non aver fatto abbastanza bene
persino il male.
L’ebreo trasformato in un eccesso.
Il palestinese troppo solo per pensare in grande.

Se qualcuno vuole altri scontri, lo faccia in uno scannatoio a parte.
Detto ciò, l’antisemitismo è una paresi mentale.
I Palestinesi non sono un carico pendente.
C’è troppo dolore da entrambe le parti per laureare il più forte.
Rimbocchiamoci le maniche, sistemeremo le cose
muovendo da ciò che sapremo creare, se Dio vuole.
E anche se non vuole.

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