Stati Uniti: la Corte suprema abolisce il diritto all’aborto

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La Corte suprema ha rovesciato Roe v. Wade, la sentenza del 1973 che affermava il diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti.

Con sei voti a favore e tre contrari (quelli dei liberal Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer) la Corte suprema ha rovesciato Roe v. Wade, la storica sentenza che nel 1973 aveva affermato il diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti. La notizia, ufficializzata oggi, circolava dai primi di maggio, quando Politico aveva diffuso una prima bozza del parere relativo a Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, caso riguardante una legge approvata nel 2018 dal Mississippi mirante a vietare l’aborto dopo 15 settimane di gravidanza e che sfidava direttamente Roe v. Wade.



La sentenza della Corte suprema mette fine a mezzo secolo di garanzia costituzionale federale del diritto all’aborto e consente a ciascuno Stato di decidere se limitare o vietare l’aborto. Di fatto si avrà un Paese diviso a metà: da un lato gli Stati a maggioranza repubblicana, in cui negli ultimi anni si sono susseguiti a un ritmo inquietante i provvedimenti restrittivi in materia di aborto, dall’altro quelli a maggioranza democratica, dove a susseguirsi sono stati invece i tentativi di introdurre misure a tutela dell’accesso all’aborto, anche per sostenere donne che da altri Stati potrebbero essere costrette a questo scopo ad attraversare i confini a causa di divieti e restrizioni approvati negli Stati di provenienza.

Oltre il danno la beffa se pensiamo che la Corte è lungi dall’essere reale espressione della maggioranza dei cittadini. I giudici che si sono uniti al parere di Samuel Alito sono John G. Roberts, Clarence Thomas, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. Gli ultimi tre sono stati nominati da Donald Trump, il quale nel 2016 vinse, è vero, le elezioni ma non conquistò il voto popolare (come noto Hillary Clinton portò a casa quasi 3 milioni di voti in più). Alito e Roberts sono stati invece nominati da George W. Bush nel 2005. E se è vero che, nel 2004, Bush conquistò contro John Kerry sia il voto dei grandi elettori sia quello popolare è anche vero che quattro anni prima aveva portato a casa la presidenza in un’elezione piuttosto controversa (ricordiamo tutti il “caso Florida” no?) e che in realtà il voto popolare aveva premiato Al Gore. Se nel 2000 non fosse arrivato alla Casa bianca difficilmente George W. Bush si sarebbe candidato di nuovo. Come ricostruisce Jon Schwarz su The Intercept l’ultima volta che un candidato ha ottenuto la nomina del suo partito, ha perso, e poi ha ottenuto di nuovo la nomina e ha vinto, è stato nel 1968, con Richard Nixon. «Forse un altro repubblicano avrebbe battuto Gore, forse no». «Ci sono state otto elezioni presidenziali negli ultimi 30 anni e otto posti vacanti alla Corte Suprema», scrive Schwarz. «La bizzarra realtà del sistema politico statunitense è che i repubblicani hanno vinto il voto popolare solo in una di queste otto elezioni, ma hanno scelto cinque degli otto nuovi giudici». Tutti e cinque hanno votato per cancellare il diritto all’aborto.





Credit foto: Manifestanti davanti alla Corte suprema, 23 giugno 2022. EPA/MICHAEL REYNOLDS