Imitare Varsavia, non Parigi: perché il piano rifiuti di Roma non funziona

Categorie: Ambiente, Politica, Rubriche

Il Piano dei Rifiuti di Roma Capitale è basato solo su due elementi: raccolta differenziata e incenerimento. Ma è un errore.

Da molte parti si vuol fare credere, reiterando una narrazione incompleta e funzionale a chi ne trae un vantaggio economico, che anche dove esistono alte percentuali di raccolta differenziata, rimane comunque una parte di materiali non riciclabili per i quali la soluzione è l’incenerimento nei cosiddetti termovalorizzatori (vedi articolo “Superare gli inceneritori”).



Si porta avanti così un modello di gestione dei rifiuti basato solo su due elementi: raccolta differenziata e incenerimento. Purtroppo, grazie all’amplificazione di questo messaggio da parte di diverse testate che non danno spazio alla diffusione di nuove ed efficaci tecnologie impiantistiche, la soluzione “termovalorizzatore” è diventata un convincimento diffuso tra molti cittadini.

Eppure basterebbe una semplice ricerca per rendersi conto che sono già attive sul mercato italiano una pluralità di tecnologie di riciclo termochimico in grado di trattare le diverse tipologie di rifiuti in modo efficace e vantaggioso sotto l’aspetto economico. La principale è la pirolisi, un processo di degradazione dei polimeri organici che avviene a temperature di 350-700° in assenza di ossigeno, quindi senza combustione né ossidazione. Pertanto senza emissioni nocive rilasciate in atmosfera. Con questa tecnologia, i materiali di scarto introdotti nella camera stagna del reattore sono trasformati in gas dai quali, dopo un processo di condensazione e raffinazione, si ricava un olio che può essere utilizzato in turbine per produrre elettricità o trasformato in carburante diesel con basso tenore di zolfo. Una parte della componente gassosa, proveniente dalla reazione chimica, è invece utilizzata per il funzionamento dell’impianto stesso.



Un altro derivato dal processo è una polvere di carbone finissima (carbon black), prodotto dal quale deriva il nero fumo, utilizzato come rinforzante nella produzione degli pneumatici. In agricoltura invece, il carbone vegetale (biochar) ottenuto dalla pirolisi di biomasse animali e vegetali è un importante ammendante del terreno perché conserva l’umidità del suolo ed evita la dispersione dei nutrienti oltre a immagazzinare notevoli quantità di CO2 e ridurre l’impatto sul clima.                     

Sono già vendute sul mercato altre tecnologie che operano a temperature di 400-500° e mediante l’aggiunta di un particolare additivo scindono le catene dei polimeri complessi e le trasformano in molecole semplici o monomeri (cracking catalitico).





Questa tecnologia è stata ideata per convertire rifiuti plastici come imballaggi leggeri, pellicole per alimenti, ecc., nei componenti di base o in idrocarburi come la nafta, dai quali è possibile produrre nuovi materiali plastici.

Gli impianti descritti sono di diverse dimensioni e replicabili in moduli a seconda della necessità. Si va dai più piccoli che trattano 10.000t/anno di rifiuti plastici ed occupano una superficie di 1500mq a quelli di dimensioni maggiori, composti da più moduli (otto reattori) in grado di processare 100t al giorno di scarti plastici e pneumatici esausti e occupano una superficie di 10.000mq.

A differenza dell’incenerimento con recupero energetico, il trattamento degli scarti plastici e degli pneumatici esausti con il processo di pirolisi, non danneggia la struttura di base dei polimeri che possono essere riciclati per formare nuovi materiali o nuovi prodotti, sviluppando così l’economia circolare.

Per i rifiuti indifferenziati invece, molti cittadini non sanno che in diverse città europee, come ad esempio a Varsavia, funziona già da molti anni un impianto che li seleziona evitando di inviarli tutti insieme indiscriminatamente in quella grande caldaia chiamata “termovalorizzatore”. E, secondo il ritornello dominante, se non ci fosse il “termovalorizzatore”, ahimè, tali materiali finirebbero tutti in discarica!

E invece no. Se la città di Roma scegliesse di imitare Varsavia anziché Parigi, costruendo al posto dell’inceneritore due impianti di selezione dei rifiuti indifferenziati che trattano 300.000 t/anno ciascuno in tre turni di lavoro (complessivamente 600.000t/anno), sarebbe possibile recuperare 16 frazioni di materiali tra i quali il PET trasparente, verde, blu e colorato, il film trasparente, i film misti, la carta, il cartone e i metalli ferrosi e non ferrosi. Successivamente, attraverso un processo di pirolisi già collaudato da tempo, e senza produrre emissioni, le plastiche di scarto, che a Varsavia sono destinate a formare i CSS (Combustibili Solidi Secondari), sarebbero trasformate tutte in elettricità e/o in carburanti con basso tenore di zolfo.

Gli impianti di selezione proposti consentirebbero di realizzare in tempi brevi un altro importante obiettivo inserito nel Piano Gestione Rifiuti Roma Capitale, quello di “ridurre drasticamente lo smaltimento dei rifiuti urbani biodegradabili in discarica” perché selezionano anche la frazione organica inferiore a 60mm che può essere   stabilizzata o inviata alla digestione anaerobica.

Così, sommando il tasso di recupero dei materiali destinati al riciclo (60%) con quelli destinati alla trasformazione in energia elettrica o carburanti (30%), ciascun impianto raggiungerebbe una percentuale di recupero del 90% inviando in discarica solo il 10% di materiali.  

Le tecnologie che consentono di risolvere in breve tempo il problema della Capitale d’Italia senza condizionare la crescita della raccolta differenziata ci sono! Sarebbe un peccato non prenderle in considerazione. Infatti i due impianti di trattamento dei rifiuti indifferenziati proposti, hanno una flessibilità operativa che non condiziona la crescita della raccolta differenziata ma la sostiene fungendo da paracadute, dato che per varie ragioni – come è già successo – uno dei punti deboli del progetto di Gestione Rifiuti di Roma Capitale potrebbe essere proprio la raccolta differenziata.

Si osserva che per legge, la realizzazione dell’impiantistica per selezionare i rifiuti indifferenziati e avviare al riciclo tutte le frazioni recuperabili è prioritaria rispetto al recupero energetico mediante il “termovalorizzatore”.

Nel Piano Rifiuti di Roma, la scelta del “termovalorizzatore” è stata resa ancora più cogente con l’aggiunta complessiva di 72.000t di rifiuti speciali di cui 12.000t di rifiuti sanitari pericolosi, 30.000t di car fluff proveniente dalla rottamazione dei veicoli e 30.000t di fanghi della depurazione essiccati. Eppure anche queste tipologie di rifiuti sono gestibili separatamente in impianti specifici di pirolisi ottenendo in uscita elettricità e/o carburanti ma anche prodotti come il biochar che viene utilizzato come sostanza filtrante e per ricavare coloranti, additivi, ecc in sostituzione di prodotti derivati dal petrolio.

Per i rifiuti urbani da ormai dieci anni funziona un impianto che ricicla i pannolini raccolti in modo differenziato e ne ricava 350 kg di cellulosa e 150 kg di plastica. Grazie alla totale sterilizzazione questo materiale è impiegabile per produrre arredi urbani o imballaggi.

Per i tessili, in Italia è obbligatoria la raccolta separata già dal 1gennaio 2022. Una gestione funzionale di questa frazione si realizza attraverso i centri per il recupero perché solo attraverso la selezione manuale è possibile separare quella parte (circa il 60%) che viene rivenduta nei mercatini dall’altro 35% destinato al riciclo. Infine la quota destinata a smaltimento (5%) può essere trattata in impianti di pirolisi.

Un’attenzione particolare va data alla raccolta degli ingombranti (materassi, divani, ecc.) che a Roma è ancora insufficiente perché a fronte di una produzione totale di 49.907t ne sono state raccolte in modo differenziato solo 29.724t.

Se per questo campo volessimo prendere come punto di riferimento la città di Parigi gemellata con Roma, ecco che la città di Roma avrebbe molto da imparare dalla sua gemella. Infatti in Francia la società RECYC MATELAS EUROPE recupera dai materassi il 92% dei materiali riciclabili inviando i metalli, il poliuretano, il lattice, il feltro, i tessuti in polyester, le fodere in cotone, la lana e il legno, alle rispettive destinazioni per il riciclo: ferraioli, acciaierie, industrie del rivestimento, industrie di automobili, produzione di isolanti acustici o termici nell’edilizia, produzione di ovatte e feltri per trapunte, filtri per olio, filtri per bonifiche, pallet o energia da biomasse.

Per riciclare i materassi in molte capitali estere sono stati realizzati centri in cui avviene il disassemblaggio meccanico e/o manuale, mentre ditte più avanzate come Royal Auping e DSM-Niaga (Olanda) producono materassi interamente riciclabili a fine vita, evitando in questo modo discariche e inceneritori.

Ma i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade dove vanno a finire?

C’è un impianto che li tratta separandoli per ricavare complessivamente 60-70% di sabbia, ghiaia e ghiaino certificati per l’impiego in edilizia, un 12% di organico trasformabile in compost, materiali ferrosi, ed un 12% di materiali misti e di fanghi disidratati destinati alla discarica.

Da ultimo, in merito alla strategia di trattamento diretto prevista nel Piano che invia al recupero energetico i rifiuti indifferenziati residui ed elimina, dopo la fase di transizione, le operazioni di pre-trattamento, viene spontanea una domanda: come sarà possibile dopo la fase di transizione, eliminare dai rifiuti indifferenziati le 200/250 tonnellate/giorno di materiali inerti che oggi vengono selezionati negli attuali impianti di trattamento meccanico e biologico (tmb)? O forse il “termovalorizzatore” è in grado di “valorizzare” anche quelli?

In conclusione, le tecnologie brevemente descritte prospettano un’idea di piano alternativo a quello presentato dal Commissario ai rifiuti Gualtieri.

In particolare, per quanto riguarda la scelta dell’impiantistica, evidenziano il fatto  che non è stata rispettata la gerarchia nel trattamento dei rifiuti e le direttive europee sull’economia circolare, in quanto le scelte strategiche gestionali non hanno preso in considerazione né gli impianti per la selezione ed il recupero di materia dai rifiuti indifferenziati, né quelli per il trattamento e la chiusura del ciclo delle differenti tipologie di rifiuti urbani e speciali brevemente descritti.

 

Dott.ssa Margherita Bologna, esperta nuove tecnologie per la gestione dei rifiuti ed autrice proposta “Riciclo Totale”.

 



Foto Canva |mehaniq