“Lezioni” di McEwan, un affaccio sul nulla

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La più recente opera dello scrittore britannico disturba l’integrità della coscienza.

L’esigenza pressante di affermare una propria identità, di attribuire alla nostra vita un senso, una qualsiasi direzione o possibilità di lettura, è data dalla forza ineluttabile dell’archetipo junghiano del . La pregnanza narrativa delle grandi biografie, dei romanzi di formazione, così come delle più comuni serie televisive, si afferma con maggior forza, quanto più riconoscibili appaiono i profili psicologici dei personaggi o prevedibili le trame. La grande letteratura mondiale, per molti secoli, ha tenuto fede alla struttura originaria delle fiabe o dei miti popolari, all’archetipo del “viaggio dell’eroe”, producendo così una speranza ri-compositiva alla naturale frammentarietà dell’esistenza.



Ma poi ci sono libri come l’ultimo romanzo di Ian McEwan, Lezioni (edito da Einaudi), che non si limitano all’ormai consueta rappresentazione dell’anti-eroe (quell’inetto che, a partire dall’Uomo senza qualità di Musil, ha abbondantemente popolato l’immaginario letterario del Novecento). Il protagonista del romanzo di McEwan si lascia inseguire in una lunga biografia scomposta, frammentata, incespicante. Ma né per lui, né per altre soggettività che incrociano il suo cammino, c’è speranza di una scelta di vita indovinata. Lo stesso intreccio tra esistenza biologica, accadimenti storici e vita psichica ne risulta sostanzialmente irrisolto.

Si tratta di un romanzo che fa di tutto per disturbare l’integrità coscienziale del lettore; suggerisce in ogni momento di fare un bilancio della propria esistenza, ridicolizzandone ogni possibilità di riuscita. Se la letteratura ha in parte il compito di dischiudere a ciascuno lo sguardo su una porzione di realtà, Lezioni di McEwan è un affaccio sul nulla. Per questo quest’indubbia opera d’arte può avere una sua forza meditativa per un adulto, e ancor di più per una persona con alle spalle molti decenni d’esperienza, ma certamente non è una lettura adatta per i più giovani.
L’adolescenza, infatti, deve poter rivendicare un diritto all’aspirazione nella costruzione del Sé, rispetto al quale solo dopo una più solida esperienza di vita è possibile cimentarsi con la resa, giacché – come diceva l’eroe di Cervantes – non sopporto chi m’inganna, ma più d’ogni altra cosa detesto chi mi dice la verità.