L’Onu ha ancora un senso?

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Le Nazioni Unite sembrano oggi condannate alla stessa impotenza della defunta Società delle Nazioni.

Siamo tutti d’accordo – credo – nel riconoscere che se un ente qualsiasi ignora, contraddice o addirittura tradisce le finalità per cui è stato istituito, bene, allora è giunto il momento di liquidare quell’ente, senza remore o rimpianti. Così come la Società delle Nazioni è stata senza alcun rimpianto sostituita dalle Nazioni Unite, è giunto forse il momento di pensare al destino di queste ultime e della loro grottesca unione.
La Società delle Nazioni non era riuscita a impedire una nuova deflagrazione mondiale. Le Nazioni Unite sembrano oggi condannate alla stessa impotenza, allo stesso destino.
C’è, ammettiamolo, qualcosa di tragicamente fisiologico in tutto questo. Ogni tentativo di instaurare la kantiana “pace perpetua” tra i popoli non può fare a meno di ispirarsi alla situazione storica che lo giustifica e impone, riflettendone i rapporti di forza.



Davvero ci vuole una catastrofe bellica, per provare ancora una volta a realizzare il sogno kantiano di una pace perpetua? Il Palazzo di Vetro è diventato – riconosciamolo – allo stesso tempo inutile e obsoleto, come certi ex-bellissimi, invecchiati ma attaccati ostinatamente alla loro bellezza di un tempo.
Sull’inutilità c’è ben poco da dire. Basta confrontare le parole dello Statuto, del 1945, con la situazione che stiamo tutti vivendo: in Europa, nel Mediterraneo, in Africa e nell’Estremo Oriente. Si può dire, senza esagerare, che una nuova guerra, dalle modalità e dalle conseguenze ancora poco conosciute ma già spaventose sta infiammando il pianeta.
S’invoca la pace: nessun segno più grave per riconoscere uno stato – incipiente, attuale? – di guerra. Ma che guerra? È ancora possibile utilizzare questa in fondo nobile parola, per descrivere l’indescrivibile orrore da cui siamo assediati?
Il Preambolo allo Statuto dell’Onu ne denuncia l’irreparabile fallimento quanto alle finalità, prima tra tutte quella di “…salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità”.
Il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale è poi individuato all’articolo 1 come il primo fine delle Nazioni Unite. Mai propositi tanto nobili e chiaramente espressi risultano oggi traditi, sulle rive dell’Hudson.

Né può dirsi che l’ONU non si sia dotato a suo tempo degli strumenti indispensabili per la “soluzione pacifica delle controversie internazionali”, dai mezzi più tradizionali della diplomazia allo strumento estremo dell’intervento armato, da attuarsi “con forze aeree, navali o terrestri” (art.42).
Sappiamo come e perché si sia rivelato impossibile per l’Assemblea Generale e – ancora di più- per il Consiglio di Sicurezza, deliberare ad attuare gli interventi indispensabili richiesti dalla situazione internazionale, specie – ma non solo – in Ucraina e in Palestina.
Non solo hanno fallito, le Nazioni Unite, ma addirittura sembrano irrimediabilmente obsolete rispetto alle finalità originarie. Tutto è cambiato da quel remoto 1945, a San Francisco.
Gli equilibri di potere sono cambiati. La minaccia nucleare incombe su ogni conflitto a carattere internazionale. La stessa guerra ha cambiato volto e natura, facendosi ‘tecnologica’ e rivolgendosi principalmente contro le popolazioni civili. Il terrorismo si è inserito brutalmente nel dialogo tra gli Stati nazionali, sempre meno protagonisti della politica mondiale.
In questa situazione, persino la parola ‘pace’ sembra sporcata o addirittura disonorata, se implica la rinuncia a far prevalere il senso di una comune umanità sulla precaria esperienza di un instabile equilibrio tra forze egualmente disumane.
Sempre più la pace da molti disordinatamente invocata somiglia alla pax romana, famosamente definita da Tacito: “Là dove fanno il deserto gli danno il nome di pace”.