Storie di ordinaria tortura nel regime di Lukašenko

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Storie di una generazione di autori, attivisti e giornalisti dissidenti che resiste al regime di Alexander Lukašenko in Bielorussia.

Lontana dai riflettori, la macchina della repressione del regime di Alexander Lukašenko continua a colpire l’opposizione, rea di aver contestato la sua sesta rielezione consecutiva nel 2020. Dall’estate di quell’anno, segnata da proteste di massa che sono proseguite fino all’anno successivo, la dittatura ha effettuato oltre 40.000 arresti, portando avanti più di 12.000 cause penali per ragioni politiche, come riferito da Josep Borrell in occasione della Giornata internazionale di solidarietà con i prigionieri politici in Bielorussia, a maggio di quest’anno. Attualmente, sono quasi 1.500 i prigionieri politici nelle carceri bielorusse, con frequenti denunce di abusi e torture da parte delle organizzazioni internazionali.
Ma la repressione di Minsk, unico Paese europeo che applica ancora la pena di morte, non si ferma neppure di fronte ai suoi confini. Come riferito in una risoluzione approvata il 23 giugno di quest’anno dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, la Bielorussia sarebbe stata responsabile del 31% dei casi di repressione transnazionale registrati nel 2021. Il caso più eclatante è quello del giornalista e attivista Roman Protasevič, arrestato insieme alla sua compagna dopo il dirottamento del volo Ryanair su cui si trovava.
Frequenti anche i casi di deportazione di oppositori politici, soprattutto dalla Russia dell’alleato Putin, mentre – come mi raccontano attivisti qui in Germania – grande è il timore di rientrare in patria, anche solo per incontrare i parenti, per chi abbia partecipato alle proteste, in seguito alla schedatura di massa effettuata dal regime. In questo quadro allarmante, non sono esenti numerosi scrittori importanti del Paese.
Come riferito dal quotidiano Die Welt, il regime starebbe procedendo alla confisca dell’appartamento a Minsk del premio Nobel Svjatlana Aleksievič, in esilio a Berlino dal 2020. La proprietà sarà messa a disposizione dei membri delle forze di sicurezza. Ancora più dura è la storia di Saša Filipenko, classe 1984, autore straordinario che in Germania è già un bestseller. Lo incontro a un festival a Stoccarda, dove è intervenuto per presentare la traduzione tedesca del suo romanzo Kremulator. La vicenda che racconta, risalente al mese di novembre, è raccapricciante.
Sette poliziotti armati hanno fatto irruzione nella sua casa a Minsk, dove ufficialmente ancora risiede e vivono i suoi genitori, entrambi ultra sessantenni. Messi a terra i due anziani, gli agenti hanno proceduto al sequestro di tutti gli apparecchi elettronici e i supporti di memoria, per poi ammanettare e arrestare il padre, pur in mancanza di imputazioni. “Puoi ringraziare tuo figlio per questo”, avrebbe commentato un poliziotto rivolto alla madre mentre procedeva a portare via il marito, mi racconta lo stesso Filipenko, in esilio in Svizzera dal 2021.
Il padre, torturato più volte con una pistola stordente rivolta al tallone – per evitare di lasciare tracce visibili – è stato obbligato a fare un video in cui denunciava il figlio, poi diffuso su Telegram, e a firmare una dichiarazione scritta contro di lui. In base a questa, è stato avviato un procedimento penale. Il padre è stato poi rilasciato dopo quindici giorni di detenzione trascorsi in una cella che, pur concepita per quattro persone, ospitava ventidue detenuti che trascorrevano le notti schiacciati sul terreno con le luci rivolte contro di loro per impedirgli di dormire. Alcuni giorni dopo, la polizia è tornata a far visita al padre per minacciarlo. “I miei genitori, come migliaia di oppositori, sono ostaggi del regime”, riferisce Filipenko.
Autore di lingua russa, non senza qualche virata ironica verso il bilinguismo che segna la vita del suo Paese, fin dal suo esordio con Ex figlio ha dimostrato tutto il suo coraggio nel denunciare il regime di Lukašenko, al potere da ormai trent’anni. Pubblicato in italiano dalle Edizioni E/O, al pari del suo altro romanzo, Croci rosse – entrambi tradotti da Claudia Zonghetti – Ex figlio ci lascia intendere come il lavoro di Filipenko proceda verso un doppia sfida: l’una verso il presente, l’altra rivolta verso la memoria, e in particolare verso l’oblio dei crimini dello stalinismo, in piena riabilitazione sia a Minsk che a Mosca.
In una prosa musicale e ironica Filipenko, che è giornalista di formazione, inframezza i suoi scritti di documenti originali d’archivio, citazioni letterarie e brani di canzoni rock sovietiche e post, ponendosi in continuo dialogo tra immaginazione e memoria, tra la finzione e la realtà storica più spietata. Il risultato è una letteratura colta e insieme estremamente godibile che ha già conosciuto riconoscimenti internazionali importanti, oltre all’entusiasmo di molti lettori.
Nonostante le vessazioni e le minacce rivolte a lui e ai genitori, Filipenko spiega come non intenda piegarsi al ricatto in atto contro di lui, e che continuerà a scrivere, denunciando pubblicamente i crimini di un regime che tiene in ostaggio la Bielorussia fin dalla caduta dell’URSS. Una storia di determinazione e coraggio, la sua, che ha il merito non ultimo di ricordarci uno stato europeo fin troppo spesso dimenticato in Italia.
A questo proposito, ricordiamo come il Premio internazionale Alexander Langer nel 2024 sarà assegnato a Olga Karač, attivista arrestata e torturata dal regime di Lukašenko, ora in esilio a Vilnius. Fondatrice dell’organizzazione Naš Dom, registrata con il nome di Centro internazionale per le iniziative civiche, coordina ora più di ventitré gruppi di volontari in diverse città bielorusse e in esilio. Il premio sarà assegnato – insieme a una menzione speciale all’organizzazione ucraina ZMINA – il 3 marzo prossimo a Bolzano, per poi essere ospite d’onore alla Presidenza della Camera dei Deputati.
CREDITI FOTO: ANSA / STRINGER