Perché in questi giorni di Dostoevskij si dovrebbe parlare di più

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Contro la (schivata) censura contro le lezioni su Dostoevskij di Paolo Nori pubblichiamo un estratto del grande scrittore russo.

L’Università Bicocca di Milano ha comunicato allo scrittore Paolo Nori che il ciclo di quatto lezioni dedicato a Fëdor Dostoevskij che avrebbe dovuto tenere in questo mese di marzo è stato rimandato per “evitare ogni forma di polemica soprattutto interna in quanto momento di forte tensione”. Il riferimento, ovviamente, è alla guerra in Ucraina scaturita dall’invasione della Russia. A seguito dello scandalo suscitato dalla notizia l’ateneo ha fatto retromarcia ma la vicenda la dice lunga sul modo di intendere la libertà di parola e di insegnamento. Contro questa (schivata) censura riprendiamo proprio un estratto da Delitto e castigo perché, come ha detto Nori, “in questi giorni, di Dostoevskij bisognerebbe parlare di più”.



Dostoevskij e la schivata censura all’università Bicocca, un estratto di Delitto e castigo.

Raskolnikov passò all’ospedale la fine della Quaresima e la Settimana Santa. Quando era già in convalescenza, si ricordò dei sogni che aveva fatto mentre era a letto con la febbre e il delirio. Aveva sognato, durante la malattia, che tutto il mondo era condannato a rimanere vittima di una pestilenza terribile, mai sentita e mai vista, che dal fondo dell’Asia avanzava verso l’Europa. Tutti dovevano perire, all’infuori di pochissimi eletti. Erano comparse certe trichine sconosciute, esseri microscopici che si infiltravano nel corpo umano. Ma questi esseri erano spiriti, dotati di intelligenza e di volontà. Gli uomini che li lasciavano penetrare nel loro corpo, diventavano subito indemoniati e pazzi. Mai, mai, però, gli uomini si erano ritenuti così intelligenti e così sicuri della verità, come si ritenevano quegli appestati. Mai avevano ritenuto più sicuri i loro giudizi, le loro deduzioni scientifiche, le loro convinzioni e credenze morali.

Interi villaggi, intere città e popolazioni si infettavano e facevano pazzie. Tutti erano in agitazione, non si capivano più fra loro, ognuno pensava di essere il solo a possedere la verità e si tormentava, guardando gli altri, si batteva il petto, piangeva e si torceva le mani. Non sapevano chi e come giudicare, non riuscivano a mettersi d’accordo nel giudicare il male e il bene. Non sapevano chi condannare e chi assolvere. Gli uomini si uccidevano fra loro in una specie di furore insensato. Si preparavano a marciare gli uni contro gli altri con intere armate, ma queste armate, quando erano già in marcia, a un tratto cominciavano a dilaniarsi per conto loro, le file si scompaginavano, i combattenti si scagliavano l’uno contro l’altro, si infilzavano, si sgozzavano, si mordevano e si divoravano fra loro. Nelle città si sonava a martello tutto il giorno: tutti erano chiamati a raccolta, ma chi li chiamasse e perché, nessuno lo sapeva, e tutti erano in agitazione. Avevano abbandonato i mestieri più comuni, perché ognuno proponeva le sue idee, le sue innovazioni, e non riuscivano mai a mettersi d’accordo; l’agricoltura era ferma. Qua e là la gente si radunava a crocchi, si mettevano d’accordo su qualche cosa, giuravano di non separarsi più; ma subito cominciavano a fare una cosa completamente diversa da quella che loro stessi avevano proposto un momento prima, ricominciavano a incolparsi l’uno con l’altro, si azzuffavano e si scannavano. Cominciarono a scoppiare molti incendi, cominciò la carestia. Tutto e tutti perivano. La pestilenza aumentava e avanzava sempre più. In tutto il mondo potevano salvarsi solo pochi uomini, i puri e gli eletti, che erano predestinati a iniziare una nuova razza umana e una vita nuova, a rinnovare e purificare la terra; ma nessuno aveva mai veduto questi uomini, nessuno aveva mai udito la loro voce e la loro parola.