Il “trionfale” discorso di Giorgia Meloni

Giorgia Meloni punta tutto su di sé. La candidata forte alla guida del popolo esprime tuttavia un’evidente debolezza e una scarsa fiducia nella sua maggioranza di governo. Il tentativo di trasformare un’elezione in un referendum rappresenta la morte della politica, la fine del confronto sulle idee che lascia il posto ad un atteggiamento fideistico richiesto dal capo. Per questo, indipendentemente dal risultato elettorale, si tratta per "Giorgia" di una sconfitta.

Alessandro Brescia

Può sembrare un paradosso ma questo momento politico rappresenta il punto di massima vulnerabilità di Giorgia Meloni. Forse l’apice della sua parabola, cui potrebbe seguire la discesa. A patto che ci sia una narrazione politica alternativa, fatta di persone credibili e programmi sostenibili, che per il momento è tutta da (ri)costruire.
Ma quando un leader politico è obbligato ad ostentare la sua stessa leadership, a sovraesporre mediaticamente la propria immagine, a presidiare tutti gli spazi d’azione, quello è un segnale di grande debolezza. Un’affermazione contro intuitiva, il partito Fratelli d’Italia è proiettato dai sondaggi ad un ulteriore successo elettorale, ma la necessità politica della sua leader di accentrare su di sé tutti gli sguardi, di chiedere al popolo (ai patrioti come vengono definiti) di riporre su di sé tutte le speranze e tutte le aspettative rappresenta la cifra della paura di perdere terreno e consensi, conferma l’impossibilità di puntare sulla propria maggioranza (spesso inadeguata, con tratti imbarazzanti) e quindi di puntare tutto su sé stessa (ci scuserà la Meloni se decliniamo leader al femminile).
Neanche con Berlusconi la personalizzazione della politica era arrivata a tanto. L’immedesimazione con il capo branco. In quel caso, c’era l’adorazione per l’imprenditore più furbo di sempre che c’è l’aveva fatta, diventando presidente del Consiglio. Pulpito da cui chiedeva di essere considerato al di sopra della legge vista l’investitura popolare. Qui c’è Giorgia Meloni che dalla sezione di borgata, mangiando pane e politica, diventa premier ma ambisce ad essere il vero tribuno del popoloQuindi, se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe lo faceste scrivendo sulla scheda elettorale semplicemente “Giorgia”. Perché io sarò sempre una di voi, una persona alla quale dare del tu, senza formalismi e senza distanza. Perché questo difficilissimo ruolo non mi cambierà, il potere non mi imbriglierà, il palazzo non mi isolerà”.
Questa la parte conclusiva del discorso di Giorgia Meloni, con cui ha dichiarato che sarà capolista in tutte le circoscrizioni per le elezioni europee, nonostante non sederà per un solo minuto al Parlamento europeo. Non importa chi sederà al suo posto, sarà come se ci fosse lei. Per osmosi, a distanza. Anche perché non è questo l’obiettivo, l’obiettivo è ottenere simbolicamente il pieno mandatoHo bisogno, ancora una volta, di sapere che ne vale la pena. Faccio quello che faccio solo per gli italiani. Non c’è altra ragione sostenibile per fare questa vita. Non mi interessano i sondaggi né le ricostruzioni di osservatori interessati. Mi interessa solo il giudizio dei cittadini, e lo rispetterò, qualsiasi sia questo giudizio”. Ancora “se gli italiani pensano che stia facendo bene, allora chiedo loro di andare a votare, di scegliere Fratelli d’Italia e di scrivere il mio nome. Il mio nome di battesimo”.
Scrivendo il suo nome di battesimo, gli italiani saranno ripagati, in Italia come in Europa, di tale fiducia perché Giorgia si è “sempre considerata un soldato, e i soldati, quando devono, non esitano a schierarsi in prima linea”.
Discorso tanto efficace per il suo elettorato quanto inquietante: io sono una di voi, se credete in me, votatemi ancora, io lo faccio per gli italiani e non verrò corrotta dal potere. Sarò il vostro soldato in prima linea.
La sconsiderata metafora militaresca, di un tempismo davvero imperfetto (o forse perfetto), ha concluso un discorso intriso di retorica, demagogia e populismo.
Il tentativo di trasformare un’elezione in un referendum pro sé stessi rappresenta la morte della politica, la fine del confronto sulle idee che lascia il posto ad un atteggiamento fideistico richiesto dal capo.
La mossa di Meloni, indipendente dall’esito elettorale, è in sé una sconfitta, rappresenta esattamente ciò che uno statista (che guarda al domani e all’interesse collettivo) non dovrebbe mai fare. Per nessun motivo.
CREDITI FOTO: ANSA / INSTAGRAM GIORGIA MELONI

 



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