Il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo approvato dal parlamento europeo mina il diritto d’asilo

Al netto dei proclami – maggiore coinvolgimento dei Paesi meno colpiti dalla pressione migratoria nella gestione dei flussi, “meccanismo di solidarietà”, modifica delle “norme di Dublino” – il patto aumenta il rischio di rimpatri ed espulsioni, e indebolisce il diritto di asilo, soprattutto per le persone migranti che provengono da Paesi definiti "sicuri", che sicuri spesso non lo sono per niente.

Benedetta Di Placido

Secondo alcuni dati diffusi dal Consiglio europeo nel 2023 sono arrivate in Europa circa 274.404 persone migranti irregolari. La maggior parte di queste, 157.479, lo hanno fatto attraverso la rotta centrale, quella che coinvolge le frontiere marittime di Libia, Tunisia, Malta e Italia. Da quattro anni il Parlamento europeo e i suoi membri hanno provato a riformare il sistema comune di accoglienza e asilo, provando a darsi un pacchetto di norme condiviso per gestire un flusso che tocca – per questioni geografiche e dunque inevitabili – solo alcuni dei 27 Stati membri. La recente approvazione da parte del Parlamento europeo del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo rappresenta un passo fondamentale per confermare il nuovo meccanismo ipotizzato dai parlamentari, che però non è considerato da tutti la migliore delle strade possibili.
La ratifica del Parlamento è stata ufficializzata il 10 aprile, con l’obiettivo di sostenere i Paesi più esposti alle pressioni migratorie nella gestione dell’accoglienza, coinvolgendo gli altri Stati membri che dovranno “contribuire accogliendo una parte dei richiedenti asilo o dei beneficiari di protezione internazionale nel loro territorio, stanziare contributi finanziari o fornire un sostegno tecnico-operativo”. Il nuovo patto prevede anche la modifica delle “norme di Dublino”, che danno agli Stati membri gli strumenti necessari per esaminare le domande di asilo che gli vengono sottoposte e per, successivamente, riconoscere lo status di rifugiato. Nonostante una modifica e un miglioramento di queste norme fosse chiesto da più parti, il nuovo patto pone non pochi problemi.
I lavori per questo accordo iniziano a luglio 2016, quando la Commissione europea presenta una serie di proposte per riformare il sistema di asilo e per creare delle norme comuni e condivise rispetto alle modalità di “reinsediamento”. Il 2016 è stato uno degli anni più tragici nel bilancio delle morti nel Mediterraneo, tracciando una linea netta dalla quale non si è più tornati indietro. Da allora sono stati ripristinati i controlli alle frontiere, sono stati militarizzati i confini e introdotte con più forza pratiche come i rimpatri. Le prime fasi dei lavori verso un nuovo equilibrio di accoglienza sono state gestite da un Parlamento con una maggioranza di centrodestra, che ha accompagnato i Paesi europei – tra cui anche l’Italia – verso l’adozione di misure più rigide e inospitali. Nel 2018, infatti, in Italia viene approvato il discusso Decreto Salvini su migrazione e sicurezza, che smantellava il sistema di accoglienza e protezione delle persone migranti già esistente.
Nel 2022 l’Unione europea dà vita alla EUAA, l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo, con l’obiettivo di offrire assistenza tecnica agli Stati, che più volte lamentavano l’impossibilità di gestire autonomamente l’accoglienza e l’asilo delle persone migranti. A dicembre 2023 il Consiglio e il Parlamento si accordano sulla necessità di una riforma del sistema di asilo, approvato poi ad aprile dal Parlamento.
Il nuovo patto è composto da nove atti legislativi che si concentrano sulla riforma della gestione interna dei flussi, dei controlli alle frontiere, del meccanismo di solidarietà degli Stati membri, della procedura d’asilo e del regolamento Eurodac – cioè il sistema informatico europeo che gestisce la banca dati del continente, con le impronte digitali delle persone richiedenti asilo. Gli Stati di primo ingresso hanno responsabilità delle domande di asilo per i primi 20 mesi di permanenza della persona, 12 per chi viene salvato in mare. A questo, si affianca la possibilità di attivare un “meccanismo di solidarietà”, per cui nella circostanza segnalata di emergenza da parte di alcuni Paesi, gli altri Stati membri possono andare in loro aiuto. Questo sostegno può essere di due tipi: possono accogliere nei propri confini alcuni richiedenti asilo, oppure pagare una somma che verrà destinata ai mezzi e ai procedimenti volti all’accoglienza. Le cifre – stimate – che comporranno questo nuovo provvedimento sono di 30 mila ricollocamenti e 600 milioni di euro di finanziamenti l’anno, per i Paesi che si dichiarano in difficoltà.
Eva Geddie, direttrice dell’Ufficio europeo di Amnesty International, ha commentato così la nuova organizzazione proposta dal patto: “le persone che arrivano ai confini europeo devono essere in grado di trovare asilo, di aver esaminate correttamente le loro richieste ed essere accolti con dignità. Questo accordo rischia di lasciare le persone bloccate, detenute o bisognose, ai confini europei e non fa nulla per migliorare il livello di protezione dei richiedenti asilo in Europa. Negare alle persone il loro diritto all’asilo è pericoloso, e una risposta sproporzionata a cui i Paesi potrebbero tranquillamente rispondere con le regole già vigenti”.
Anche le procedure di accoglienza alla frontiera cambieranno, il patto stabilisce una priorità di ingresso nei paesi sulla base delle proprie personali condizioni. Le persone migranti potranno essere sottoposte a due tipi di procedure: quella tradizionale o la nuova border procedure. Quest’ultima verrà applicata ad alcune categorie di persone, che i parlamentari hanno individuato come appartenenti ad una fascia prioritaria. Tra queste, ci sono i cittadini provenienti da Paesi considerati “sicuri”, cui viene raramente riconosciuto lo status di rifugiato. A stabilire quali siano i Paesi sicuri sono i singoli Paesi europei, per cui i criteri che portano all’attribuzione di questo status risultano essere fallaci, spesso determinati dalle relazioni che i Paesi d’accoglienza intrattengono. Indirizzare verso questa nuova procedura più rapida, quindi, ha l’obiettivo di rendere più facile l’espulsione delle persone migranti, che potranno essere rimandate nel loro luogo di provenienza qualora non aderiscano ad alcuni standard.
Le persone migranti verranno smistate nelle due formule di accoglienza in base al loro profilo, tracciato secondo il regolamento Eurodac e le nuove disposizioni previste dal patto. Con buone probabilità la formula rapida sarà quella destinata alle persone provenienti dai Paesi sicuri o che saranno considerate “pericolose”. In entrambi i casi, potranno vedere la propria richiesta rifiutata e verranno quindi espulsi verso il loro Paese di provenienza o altri.
Il patto prevede anche che vengano monitorate e assistite con maggiore celerità le situazioni critiche già vissute in passato, ad esempio nel biennio 2015-2016. Si prevede che nei casi di arrivi particolarmente numerosi o di situazioni di emergenza, possa essere attivato dalla Commissione – su richiesta degli Stati – un meccanismo di solidarietà e delle misure di sostegno che dovranno essere rese effettive entro due settimane dalla loro domanda. Si aggiunge a questo un’implementazione del citato regolamento Eurodac, che raccoglierà – non solo le impronte digitali – ma anche i dati biometrici, quindi le immagini del volto.
Sebbene il Parlamento europeo sostenga di aver ottenuto – con questo nuovo pacchetto di norme – la possibilità di “un esame più rapido delle domande di asilo, anche alle frontiere UE, e rimpatri più efficaci”, sta in realtà mettendo a rischio il diritto d’asilo. Facilitare il rimpatrio o l’allontanamento delle persone migranti le espone concretamente ai rischi dai quali fuggono, creando solamente un meccanismo di rimbalzo e, in molti casi, di condanna alla detenzione sistematica. I Paesi verso cui vengono indirizzati i migranti quando la loro richiesta di accoglienza viene respinta, sono soprattutto la Libia, la Tunisia e la Turchia. Non solo si tratta dei Paesi da cui molti di loro partono, ma sono anche i luoghi dove notoriamente le persone migranti vengono detenute, costrette a patire violenze e trattamenti disumani. Con la Libia, ad esempio, l’Italia stringe regolamente dei patti per gestire il flusso di migranti indirizzato verso le proprie coste, con il noto Memorandum Italia-Libia, recentemente rinnovato per la durata di cinque anni.
Non solo questo rinforza la fragilità delle definizioni – soggettive e di convenienza – dei Paesi “sicuri”, ma inserisce anche la possibilità – oggi concreta – che gli Stati europei si affidino, con uno scambio politico ed economico, a controparti capaci di crimini e trattamenti disumanizzanti, come è la Libia per l’Italia. Per questa ragione, molte delle associazioni e organizzazioni che si occupano di migrazioni e persone migranti, sono preoccupate che il patto possa condurre a detenzioni automatiche ed arbitrarie, vere e proprie condanne a morte o a violenze sistematiche. Queste procedure di frontiera, oggi, sembrano costruite per respingere, limitare la libertà di movimento e mettere in pericolo vite che già lo sono.
Il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo è in attesa di essere approvato da parte del Consiglio europeo, dopo la quale diverrà effettivo entro i successivi due anni.
CREDITI FOTO: Pro Caravan Protest, 13 nov 2018, ANSA ZUMAPRESS / Christopher Brown



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