“Solo la verità, lo giuro”: le confessioni di Padellaro

Nel suo nuovo libro Antonio Padellaro, fondatore del “Fatto Quotidiano”, si confessa e si mette a nudo ripercorrendo la sua vita personale e quella professionale, arricchendo di narrativa pagine autobiografiche che riportano il lettore nel vivo di alcuni avvenimenti chiave della storia d’Italia degli ultimi cinquant’anni. 

Angelo Cannatà

Antonio Padellaro pubblica “Solo la verità lo giuro”, Piemme (autobiografia, diario, ritratti, denunce, rivelazioni…), e oltre allo stile della narrazione colpisce la sincerità con cui si mette a nudo: “A ripensarci adesso è probabile che io sia stato sempre intimamente non di destra, ma con idee e inclinazioni da conservatore liberale sì. E che, dunque, la sinistra sia stata solo un modo per coprirmi, per dissimulare il mio vero io condito con una buona dose di opportunismo” (p. 131). Intendiamoci, se qualcuno gli avesse dato del dissimulatore e dell’opportunista, Padellaro, giustamente, avrebbe risposto per le rime, ma qui è lui stesso a parlarne. Occorre dunque capire e contestualizzare.
“Ritengo giusto fare i conti – dice – con una scelta politica che, all’inizio della vita adulta, poco aveva a che fare col pesante cognome che portavo.” La sua famiglia era immersa nel fascismo – ecco il punto – e il fondatore del Fatto Quotidiani, all’età della ragione, ne prese le distanze: “è che quelle ‘idee’, semplicemente, non le avevo mai coltivate. Ero diventato di sinistra… per sentirmi dalla parte giusta della storia. Anche se poteva accadere che contro quel passato familiare andassi a sbattere il muso.” Mi fermo. Perché è evidente che con “quel passato” egli ha combattuto un’intera vita.
Il lettore mi consenta una digressione: ho conosciuto Eugenio Scalfari da vicino, e mi parlò delle sue giovanili idee fasciste, “eravamo imbevuti di quella cultura e di quel clima, indottrinati fin dalle scuole elementari. Non fu facile liberarsene.” Eppure, Scalfari divenne un convinto e tenace difensore della Costituzione e dei suoi valori. Ecco. Padellaro per porre la Carta come guida non dovette nemmeno liberarsi di idee mai sue, ma, semplicemente, distaccarsi dalla tradizione di famiglia. Lo fece, e sul primo numero del Fatto Quotidiano, da direttore, gli venne naturale scrivere: “La linea politica del Fatto è la Costituzione italiana” (p.123).
Molte le confessioni che il lettore troverà nel libro. Fatti e denunce. E amare verità: “Il pianeta cartaceo si sta rapidamente sgonfiando sotto i colpi implacabili della rete e del disinteresse. Ancora qualche anno e le vecchie redazioni non esisteranno più come sistema pensante” (p.186). Avverte con precisione la fine di un’epoca… “Mi sento come il sopravvissuto di un pianeta che progressivamente scompare.”
Dei giornali e della vita sociale e politica del paese è stato (ed è) acuto osservatore: cronista e analista che, per non aver piegato la schiena (altro che opportunista!), è stato cacciato dal Corriere della Sera, poi dall’Espresso, infine dall’Unità (pp. 9-20).  Sì, “c’era sempre qualcuno che voleva liberarsi di me.” Quindi? “Creai un giornale, Il Fatto, assieme a Marco… così sarebbe stato più difficile accompagnarmi alla porta”.
Padellaro ormai s’è liberato dal peso del suo cognome, e, attraverso Philip Roth, racconta: “se la tua non è una famiglia disastrata, al momento giusto i tuoi ti lasciano andare, perché sei pronto a cominciare a essere un uomo, pronto, cioè, a scegliere nuove fedeltà, nuove affiliazioni” (p. 20) e nuovi avversari: “Sì, è stata anche una questione personale. Per quasi sette anni” (dall’Espresso al Fatto) “Berlusconi è stata la nostra assillante, monumentale, fantastica, irripetibile Balena Bianca.” Ma non c’è solo il Cavaliere nel libro. Sono intense (e vere) le pagine sulla strage di Charlie Hebdo e sulla scelta d’allegare al Fatto il numero speciale della rivista uscito dopo la strage. Decisione difficile. Coraggiosa. Non priva d’angoscia per le possibili conseguenze (il fanatismo islamico colpirà anche noi?): “Antonio ti prego non farlo” (p.42) dicevano alcuni nel giornale. L’inserto di Charlie uscì. Padellaro dissimulatore e opportunista? In verità nessun direttore di giornale italiano ebbe il suo coraggio. Questo è un fatto. Com’è un fatto che egli sia testimone d’episodi lontani nel tempo che dicono del presente: un giorno intervistammo il ministro Signorile – racconta – e teorizzò “la necessità della tangente trasparente” incassata e denunciata al fisco, “mi raccomando – disse – è roba confidenziale, non scrivete una riga” (112-13), oggi invece “avvocati, ministri, politici… – per dirla con Travaglio – quella minchiata giuridica la sbandierano ai quattro venti” (il Fatto, 15-5-24). Liguria docet. Peggio che Tangentopoli.
Molte le rivelazioni e i fatti e i retroscena presenti nel libro: le volte in cui Berlusconi tentò d’ammorbidire Padellaro; quando Almirante gli disse: “Mi tolga la curiosità, ma lei per caso è parente di quel Padellaro che era con me a Salò?” (135); il Processo a Craxi, scritto con Tamburrano; quella volta che Casaleggio sentenziò “Voi siete morti” (109-11); i mesi in cui il Fatto denunciò la Trattativa Stato-mafia, e quelli in cui Scalfari attaccò il giornale (139-147); la seduta spiritica a casa Prodi durante il rapimento Moro e la linea della fermezza (57-78); eccetera: appunti, ricordi, ritratti veloci e pungenti di personaggi incontrati in cinquant’anni di giornalismo.
Lucide le pagine sulla morte di Pasolini, vissuta da giovane cronista al Corriere: “Sono Oriana Fallaci, Padellaro, ascolta bene. Pasolini è stato ucciso dai fascisti. DAI FASCISTI, scrivilo!” (125), gli dice al telefono. E inizia un racconto preciso, che descrive il clima dell’epoca: arrivano molti giornalisti all’Idroscafo di Ostia “uno lo conosco, di norma divide i moventi dei delitti di sangue in due categorie dello spirito: ‘robba de pelo’ e ‘robba de culo’.” Mostra come certi giornali minimizzavano quello che invece fu un delitto italiano. C’è molto altro naturalmente nel libro, e la risposta a tante domande: “Come si vendicava Cossiga con chi non gli mostrava gratitudine? Chi aveva interesse che Cosa Nostra organizzasse una strage allo Stadio Olimpico?” Eccetera. Non sempre i libri migliori sono quelli che vendono di più. Spesso è il contrario.  Certo è che qui, in queste pagine – a volte amare e dure (anche con l’autore) – c’è il carattere di un uomo: denunce, verità, rivelazioni: sempre con una penna, uno stile, e una cura della forma che, dal giornalismo, guardano alla letteratura.

 



Ti è piaciuto questo articolo?

Per continuare a offrirti contenuti di qualità MicroMega ha bisogno del tuo sostegno: DONA ORA.

Altri articoli di Angelo Cannatà

La Resistenza silenziosa dei Internati Militari Italiani che, decidendo di non imbracciare le armi contro gli alleati, hanno scoperto l’antifascismo.

Un film di denuncia che accusa i padroni, ma anche la responsabilità di sindacati e sinistra che ha abbandonato i lavoratori dell’Ilva.

Caso Vannacci: c’è chi ha innalzato le farneticazioni del generale a “idee” e “pensiero”. Poi Salvini lo ha paragonato a Giordano Bruno. Adesso basta.

Altri articoli di Cultura

“Scrivere di donne in Roma antica”, di Graziana Brescia e Mario Lentano, esplora come la cultura maschile dei Romani descriveva le donne.

"I Dannati" osserva e testimonia la condizione umana e il suo Essere per la morte senza sentimentalismi e con severa semplicità.

“Parthenope” del regista italiano e “The Substance“ della regista francese affrontano il mito della giovinezza mettendo il corpo della donna al centro.