L’altro 25 aprile: 1974, la rivoluzione dei garofani in Portogallo

Il 25 aprile 1974, una sollevazione popolare e militare mise fine all'Estado Novo di Salazar, che terrorizzava la popolazione in Portogallo dal 1933.

Federico Bonadonna

A metà degli anni Settanta del secolo scorso, mentre nell’emisfero australe molte fragili democrazie latinoamericane finivano negli artigli di autocrazie con il sostegno dagli Stati Uniti, l’Europa si liberava dalle ultime tirannie sorte nel primo Novecento. Il 25 aprile del 1974 in Portogallo cadeva infatti la dittatura iniziata quarantotto anni prima con il golpe militare che aveva abbattuto la giovane democrazia lusitana. Il segnale di avvio della sommossa scattò quando l’emittente cattolica Rádio Renascença trasmise la canzone allora fuorilegge Grândola, Vila Morena di José Afonso, dedicata alla cooperativa Sociedade Musical Fraternidade Operária Grandolense attiva fin dagli anni ‘50 e repressa dal regime oscurantista di Salazar.

António de Oliveira Salazar era un ex seminarista di umili origini e di stretta osservanza cattolica che ottenne la cattedra universitaria a ventinove anni. Nel 1928, da ministro delle Finanze del governo golpista, risanò i conti pubblici e fece ripartire l’economia del Paese, quindi nel 1932, da primo ministro, emanò una nuova Costituzione che gli affidò pieni poteri.

Per lo storico Robert Paxton quello salazariano non fu un regime fascista in senso stretto: «nel luglio del ’34 Salazar mise al bando ciò che in Portogallo più si avvicinava a un autentico movimento fascista: le Camicie Azzurre nazional sindacaliste di Rolão Preto. I fascisti portoghesi, lamentava il dittatore lusitano, erano “sempre smaniosi, eccitati, scontenti. Innanzi all’impossibile sempre pronti a gridare: di più! di più!”. Salazar preferiva controllare la popolazione attraverso istituzioni “organiche” tradizionalmente forti come la chiesa. Ma con lo scoppio della guerra civile nella vicinissima Spagna, nel 1936, l’autorità “organica” non poteva più bastare. Salazar sperimentò allora un Estado Novo rafforzato da dispositivi mutuati dal fascismo, tra cui un’organizzazione corporativista del lavoro, un movimento giovanile (la Mocidade Portuguesa) e un camiciazzurrato “partito unico” privo di poteri».

Salazar fondò infatti União Nacional non per mobilitare l’opinione pubblica ma per controllarla con l’obiettivo di custodire gli antichi valori: il lavoro dei campi, la famiglia contadina, la semplice vita agreste. In quest’ottica, con l’80% della popolazione impiegata nel settore primario, impedì l’importazione della Coca-Cola perché i colori accesi e i camion per la distribuzione avrebbero potuto turbare la tradizionale quiete dei portoghesi.

Negli anni della formazione, scrive lo storico Daniele Serapiglia, il futuro dittatore portoghese studiò l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, le opere di Gustave Le Bon e la dottrina sociale di Charles Maurras che prevedeva la rottura con il liberalismo e il ritorno alla struttura sociale corporativistica medioevale. Di Maurras, Salazar sosterrà la visione di uno stato basato su nazione, famiglia, autorità, rifiutando però la logica della polituque d’abord, il primato della politica sulle questioni tecnico-amministrative. L’azione politica di Salazar sarà conforme alla dottrina del ralliement di papa Pecci, posizione che gli consentirà, da dittatore, di operare la delicata mediazione tra cattolici, repubblicani e monarchici per i quali il punto d’incontro fu proprio l’istituzione di uno stato corporativo, protezionistico e votato all’autarchia (mai però raggiunta in pieno nonostante lo sfruttamento coloniale delle “provincie d’oltremare” di Goa, Macao, Timor Est e in Africa).

Oltre all’assenza delle adunate oceaniche, della retorica rivoluzionaria, del culto del capo, del rapporto mistico con le masse, l’altra grande differenza con Hitler e Mussolini era l’estraneità di Salazar all’espansionismo fascista: con il Patto Iberico anche il Portogallo, come la Spagna, fu neutrale nella seconda guerra mondiale. «Oltre che non fascista, quello di Salazar era un regime “deliberatamente non totalitario” che preferiva lasciar “vivere secondo le proprie abitudini” quella parte di cittadinanza che non si occupava di politica», scrive ancora Paxton. Infatti la terza via salazariana antisocialista e antiliberale mirava a conservare il consenso anche attraverso la versione lusitana di panem et circenses: Fatima, fado, futebol, cioè la fede cattolica rappresentata dalla madonna di Fatima, la musica popolare, il calcio. Naturalmente, oltre a queste tecniche di anestesia sociale, il regime mantenne il potere anche attraverso il divieto di sciopero e di libera associazione, l’internamento dei dissidenti nei campi di concentramento come quello di Tarrafal a Capo Verde, e con la violenta repressione della PIDE, la Policia International e de Defesa do Estado che rapiva, torturava, uccideva sindacalisti, studenti, giornalisti, comuni cittadini, e che spiava i telefoni degli oppositori del regime, compresi i militari di destra desiderosi di una torsione autoritaria maggiore. In un paese con pochi milioni di abitanti, la polizia politica contava infatti su ventimila addetti e duecentomila collaboratori.

Nel 1944, nella fase finale della guerra, il Portogallo si alleò con gli Stati Uniti concedendo un’isola delle Azzorre per una base militare, l’alleanza consentì l’entrata nel Piano Marshall nel 1947 e di figurare tra i Paesi fondatori della NATO nel 1949. Nel 1961 iniziò la Guerra do Ultramar, il lungo e violento conflitto con il fronte indipendentista nelle colonie di Angola, Mozambico, Guinea-Bissau e Capo Verde. Il fronte ribelle fu sostenuto militarmente e finanziariamente sia dall’Unione Sovietica sia dagli Stati Uniti che cercavano di attirare nelle rispettive sfere di influenza quei paesi una volta diventati indipendenti, ma quando il Portogallo minacciò di uscire dalla NATO gli Stati Uniti ritirarono il sostegno ai movimenti indipendentisti.

 

Salazar, il dittatore che morì due volte

Il 3 agosto del 1968 un incidente domestico cambiò le sorti del Paese perché Salazar cadde da una sedia ed entrò in coma. I medici sostennero che non si sarebbe ripreso e un mese dopo fu annunciato il sostituito, Marcelo Caetano che farà alcune timide riforme. Salazar però si rimise e dopo sette mesi lasciò l’ospedale per tornare a svolgere le sue funzioni, ma grazie a un gioco di palazzo fu intrappolato dalla censura che egli stesso aveva ideato e per due anni gli fu fatto credere di essere ancora il dittatore, tanto che in questa finzione ricevette ministri e generali come se rispondessero a lui, mentre, con lo scopo di raccontare un Paese sereno e ordinato, il direttore del Diário de Notícias redasse una singola copia del giornale solo per lui. Vecchio e malato, Salazar morirà il 27 luglio 1970 all’oscuro del fatto che, nel frattempo, le ingenti spese militari per la guerra nelle colonie, che avevano raggiunto fino al 40% delle entrate, avevano aperto una grave crisi economica e fatto crescere il malcontento tra la cittadinanza, la chiesa, l’università e l’esercito dove era nato il Movimento das Forzas Armadas (MFA) che cospirava contro il regime. Il movimento era composto da militari di rango inferiore, ragazzi che avevano intrapreso la carriera militare per riscatto sociale e che poi erano stati spediti in Africa per reprimere le rivolte e a morire.

La scintilla che diede vita al Movimento dos capitãnes, racconta la storica Maria Inácia Rezola, fu un decreto legge del ‘73 che rese possibile il passaggio degli ufficiali del Quadro Especial, i milicianos, cioè della riserva, al Quadro Permanente, fino ad allora riservato ai cadetti, nei reparti di Fanteria, Artiglieria e Cavalleria, tramite la frequenza di un corso intensivo: riducendo a un anno un procedimento che prima ne durava quattro, il governo intendeva attenuare il problema della mancanza di ufficiali sul fronte africano, ma invece operò una frattura profonda nel corpo degli ufficiali fatale per la dittatura.

 

La rivoluzione dei garofani inizia con una canzone

Il detonatore del golpe fu azionato da António de Spínola, numero due dell’esercito ed ex governatore della Guinea-Bissau: con l’uscita del suo libro Portugal e o Futuro, i cospiratori accelerarono i preparativi dell’Operação Viragem Histórica, la svolta storica.

Dopo tre tentativi di colpi di stato falliti, il pomeriggio del 24 aprile 1974 i militari ribelli, sfuggendo al controllo della polizia politica, si accordarono con Carlos Albino, il direttore di Limite il seguitissimo programma musicale notturno in onda ogni giorno su Rádio Renascença, per trasmettere Grândola, Vila Morena. Quando Albino si accorse che negli studi della radio non c’era nessuna incisione della canzone corse in libreria per comprare una copia dell’album Cántigas do Maio di José Afonso che contiene il pezzo proibito.

A mezzanotte e venti del 25 aprile 1974, la canzone vietata viene mandata a loop per mezzora: è la célebre senha d’inizio di quella che passerà alla storia come A revolução dos cravos, la rivoluzione dei garofani.

Nell’arco di ventiquattrore i reparti militari aderenti al golpe assumono il controllo della televisione e delle radio di Stato, dell’aeroporto di Lisbona e del quartiere dei ministeri, Terreiro do Paco. Il regime ha una reazione fiacca e in breve la maggioranza dei militari “legalisti” solidarizza con i ribelli.

Il generale de Spínola incaricato dal MFA per le trattative di resa firma allora la Legge n. 1 Destituzione dei dirigenti fascisti come dal programma del MFA stesso – detto il “Programma delle D”, descolonizar, democratizar desenvolver – che prevedeva anche la concessione delle libertà fondamentali, l’amnistia per i prigionieri politici e la convocazione entro dodici mesi di un’Assemblea Nazionale Costituente eletta a suffragio universale, diretto e segreto, elezioni che si svolgeranno il 25 aprile dell’anno successivo.

Seppure invitata a restare in casa, la cittadinanza si riversò nelle strade a centinaia di migliaia per solidarizzare con i militari. A Lisbona la fioraia Celeste Caeiro distribuì garofani alla gente in festa, i fiori corsero di mano in mano arrivando ai giovani soldati che li infilarono nelle canne dei loro fucili come qualche anno prima avevano fatto gli hippie americani del Flower Power durante le manifestazioni pacifiste contro la guerra in Vietnam. Era la liberazione: una rivolta militare incruenta trasformata dal popolo in una rivoluzione riportò così la democrazia in Portogallo dopo quasi mezzo secolo.

Negli undici mesi successivi dalla fine della dittatura il percorso sarà però travagliato. Movimenti, chiesa, sindacati e partiti, specie quello comunista e socialista rientrati dalla clandestinità, si scontreranno, anche nelle strade, tra sostenitori della legalità elettorale e di quella rivoluzionaria. Durante sei governi provvisori il conflitto sarà agito anche per limitare il potere militare diviso tra le resistenze spinolistas al processo di de-colonizzazione e le spinte radicali all’interno del MFA (in un reggimento, durante il giuramento di fedeltà alla bandiera, le reclute alzeranno il pugno chiuso e alcuni reparti di paracadutisti legati all’estrema sinistra occuperanno vari punti strategici intorno a Lisbona, isolati però dai partiti della sinistra).

In quei mesi turbolenti si sfiorerà tre volte il colpo di stato e si finirà sull’orlo della guerra civile prima di arrivare all’indipendenza delle colonie, la nuova Costituzione, la composizione del Conselho da Revolução, le prime elezioni legislative, l’elezione del Presidente della Repubblica e finalmente la chiusura di un ciclo con il successo dei socialisti.

CREDITI FOTO: Flickr



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