Nuova Caledonia: la spina nel fianco di Macron 

La riforma costituzionale calata dall’alto dall’Eliseo non è piaciuta agli indipendentisti della Nuova Caledonia che, memori del genocidio del popolo kanak a opera delle truppe francesi alla fine del XIX secolo, accusano la Francia di voler cancellare la presenza indigena e di alimentare forme al limite dell’apartheid nell’arcipelago attraverso una forma subdola di re-colonizzazione. La Nuova Caledonia è strategica per la Francia perché possiede il 30% delle riserve mondiali di nickel, probabile ragione per cui Macron sta calpestando gli accordi presi per la progressiva indipendenza dell’arcipelago.

Marco Cesario

Macron ha messo fuoco alle polveri con il risultato di scatenare la più grande rivolta sull’arcipelago della nuova Caledonia dagli anni ‘80 a questa parte. In luogo di avviare la tanto decantata decolonizzazione dell’arcipelago – preconizzata dall’ONU e dagli accordi di Nouméa del 1998 – il presidente francese ha optato per una soluzione più bonapartista calando dall’alto una riforma costituzionale per il “disgelo” dell’elettorato che gli indipendentisti della Nuova Caledonia, memori del genocidio del popolo kanak a opera delle truppe francesi alla fine del XIX secolo, hanno giudicato pericolosa e irricevibile. 
Domenica è stata lanciata un’operazione su larga scala per riprendere il controllo della strada strategica che collega Nouméa all’aeroporto internazionale e liberarla dalle decine di blocchi stradali eretti dai combattenti indipendentisti. Dopo aver annunciato lo stato di emergenza dalla Francia continentale, con l’invio di circa 2.000 membri delle forze di sicurezza da Parigi, lo stato francese sembra aver ripreso il controllo dell’arcipelago ma il bilancio degli scontri della settimana scorsa è grave: sei il numero di morti dall’inizio delle violenze. La Camera di Commercio e dell’Industria della Nuova Caledonia ha chiesto di “preservare quel poco che resta” dell’economia dell’arcipelago, stimando che più di 150 aziende sono state saccheggiate e date alle fiamme, lasciando senza lavoro più di 1.000 dipendenti. Le autorità inoltre hanno anche riferito che ci sono state 216 misure di custodia della polizia, di cui 144 per reati contro la proprietà, 25 per violenza contro un pubblico ufficiale e 46 per reati personali, che hanno portato a 31 comparizioni in tribunale, tra cui 11 condanne al carcere.
Sonia Lagarde, sindaco di Nouméa, ha chiesto a Emmanuel Macron una “pausa istituzionale” affinché “torni la calma” in Nuova Caledonia chiedendo il presidente francese di non convocare il Congresso per ratificare la riforma costituzionale sullo scongelamento dell’elettorato. Sonia Lagarde ritiene che il Capo dello Stato abbia chiaramente compreso la necessità di una “pausa istituzionale”. A suo avviso, questa è l’unica strada possibile per calmare la situazione nell’arcipelago. 
Perché questa rivolta?
La Nuova Caledonia è un arcipelago che ruota attorno a una grande isola principale lunga 400 km, equidistante tra l’Australia e la Nuova Zelanda. Nonostante proclami altisonanti, l’arcipelago resta il fiore all’occhiello dell’ex impero francese. I suoi 270.000 abitanti infatti sono ancora concretamente cittadini francesi. La Nuova Caledonia fu colonizzata da Parigi a partire dal 1853 e domata attraverso massacri e stermini di massa della popolazione indigena locale. Il ricordo di questi massacri e delle esazioni dell’esercito francese è molto vivo presso la popolazione kanak, che rifiuta di continuare a essere amministrata dal governo centrale. Da un quarto di secolo sono in corso riforme e un processo noto come decolonizzazione, una decolonizzazione per ora soltanto teorica. L’Accordo di Nouméa, firmato nel 1998 dall’allora primo ministro socialista Lionel Jospin, prevedeva infatti una devoluzione dei poteri, la definizione di una cittadinanza specifica e la possibilità di indire referendum sull’autodeterminazione. Questi referendum si sono svolti tra il 2018 e il 2021. Per tre volte gli elettori hanno detto “no” all’indipendenza ma si tratta di un “no” irreale nel senso che pur permettendo di indire questi referendum lo stato francese ha fatto di tutto per mettere il popolo kanak, che per il 90% era per l’indipendenza, in minoranza in modo da evitare di fatto l’indipendenza dell’arcipelago. Le politiche migratorie successive infatti, mettendo in minoranza il popolo kanak dal punto di vista demografico, hanno mirato a re-colonizzare l’arcipelago in modo da far passare la visione centralista e lealista del governo francese. Gli indipendentisti accusano inoltre la Francia centralista di aver messo in opera politiche culturali e sociali che hanno provocato situazioni al limite dell’apartheid per il popolo kanak. 
Il problema che emerge in Nuova Caledonia è inoltre quello di due concezioni diametralmente opposte di identità nazionale. Da una parte ci sono gli indigeni, i Kanak, di origine melanesiana. Erano già presenti quando i francesi arrivarono a metà del XIX secolo. Ancora economicamente svantaggiati, la maggioranza di loro è oggi favorevole all’indipendenza. Dall’altra parte, invece ci sono i discendenti dei coloni europei, noti come Caldoches, a volte misti, a volte no, più spesso lealisti e legati a Parigi, a cui si sono aggiunti europei più recenti che si sono trasferiti lì, come altri immigrati. Questa divisione politica non è sempre netta, ci sono zone d’ombra ed eccezioni. Il voto non è strettamente diviso per linee etniche. Per esempio, oggi il 41% della popolazione della Nuova Caledonia è di etnia Kanak, ma il “sì” all’indipendenza è salito comunque al 47% nel referendum del 4 ottobre 2020.
Cosa ha scatenato questa crisi? 
Una revisione legislativa e costituzionale a Parigi, che ha suscitato l’indignazione degli indipendentisti. Da sottolineare che i partiti politici favorevoli all’indipendenza (principalmente il Front de libération nationale kanak et socialiste, o Flnks) si oppongono a questa revisione ma non per questo appoggiano le manifestazioni violente o l’uso delle armi. La riforma, promossa dal governo di Emmanuel Macron, è estendere la “cittadinanza locale” della Nuova Caledonia – e il diritto di voto – ad almeno 25.000 persone in più che vivono lì da più di dieci anni. In proporzione, si tratta di un numero considerevole: rappresenta il 15-20% dell’elettorato. Perché? Perché l’Accordo di Nouméa prevedeva una clausola che congelava e limitava il diritto di voto alle popolazioni presenti sul territorio nel 1998 ed essenzialmente ai loro figli. In base a questo testo del 1998, tutti coloro che si sono successivamente insediati nel territorio (cioè negli ultimi 25 anni) non hanno mai avuto – e non avrebbero mai dovuto ottenere in futuro – la cittadinanza locale e il diritto di voto.  La revisione attualmente in corso a Parigi – che deve ancora essere sancita costituzionalmente dal “Congresso” (l’Assemblea e il Senato che si riuniscono eccezionalmente a Versailles) – mira proprio ad annullare questa clausola. Essa prevede che l’elettorato della Nuova Caledonia sia esteso, per le elezioni locali, a tutti i cittadini residenti da almeno dieci anni. Il movimento pro-indipendenza si oppone a questa espansione, temendo una perdita di peso elettorale per i Kanak e una graduale erosione dei diritti della popolazione indigena. 
Il patto “coloniale” del nickel
C’è anche un altro fattore che pesa in questa crisi: l’elemento nickel. Per la Francia, una Nuova Caledonia indipendente può essere un serio ostacolo all’approvvigionamento del prezioso metallo. In Nuova Caledonia infatti si trova il 20-30% delle risorse mondiali di nichel, un elemento essenziale per la produzione di batterie per auto elettriche. Nel novembre 2023, in occasione di una visita all’arcipelago, il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire aveva presentato per la prima volta un “patto del nichel”. Il suo obiettivo era quello di far uscire dalla bancarotta i tre impianti metallurgici del territorio, specializzati nella lavorazione del nichel. Con il suo patto Bruno Le Maire ha proposto di aiutare le fabbriche sovvenzionando i prezzi dell’energia per un importo di 200 milioni di euro e di sviluppare la capacità di produzione di elettricità della regione. In cambio, le autorità locali dovrebbero impegnarsi a facilitare l’accesso alle risorse e gli impianti dovrebbero essere gestiti dagli industriali per essere “redditizi”. Ma questo patto è stato definito dai kanak un “patto coloniale”. Con l’accordo di Nouméa del 1998, alla Nuova Caledonia è stata infatti affidata la responsabilità della gestione del nichel, in modo da favorire lo sviluppo del paese. Ventisei anni dopo, gli attivisti pro-indipendenza vedono il piano di Bruno Le Maire dunque come un patto coloniale per riprendere il controllo delle materie prime della Nuova Caledonia. 
Va detto che nella memoria dei kanak è vivo il ricordo dei massacri e degli stermini del proprio popolo a opera delle forze francesi. Quando la Francia prese possesso del paese con la forza delle armi nel 1853, radunò tutti i Kanak, si impadronì del territorio e sedò le ribellioni. Da 300.000 o più Kanak all’arrivo dei francesi, la popolazione indigena si ridusse da 300.000 a soltanto 27.000 nel 1900. Un vero e proprio genocidio. In seguito gli attori istituzionali francesi si impegnarono a lavorare insieme per preparare l’accesso alla piena sovranità della Nuova Caledonia in un periodo di circa 20 anni, attraverso trasferimenti di poteri e una governance sempre più autonoma. L’attuale piano di Macron, agli occhi degli indipendentisti, si fa dunque beffe di questi accordi: dopo aver firmato e costituzionalizzato la promessa di procedere insieme verso la piena sovranità (prefigurando un legame amichevole – partenariato o libera associazione – con la Francia) e senza possibilità di tornare indietro, e poi dopo averla concretamente impedita, la Francia oggi cerca di dissolvere il popolo indigeno attraverso una politica di re-colonizzazione che di fatto estromette i kanak dalle decisioni politiche più importanti e li priva di fatto delle proprie risorse più preziose. 
CREDITI FOTO: French President at the Elysee Palace, 17 mag 2024, ANSA-ZUMAPRESS/ Alexis Sciard

 



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