Basta armi a Israele

Grazie anche al sostegno militare occidentale Israele non sta soltanto rispondendo all’attacco di Hamas, ma sta portando avanti un piano di espulsione dei palestinesi che in verità circolava da tempo nel Paese. L’unico modo per ottenere un cessate il fuoco immediato – ormai chiesto persino dagli Usa – è l’interruzione di ogni sostegno militare a Tel Aviv.

Cinzia Sciuto

Sono trascorsi più di due mesi da quando la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja, nell’attesa di una sentenza definitiva sull’accusa di genocidio avanzata dal Sudafrica, intimava a Israele di intraprendere subito alcune misure urgenti per “prevenire un possibile genocidio”. Due mesi nei quali non solo non si è visto nessun segnale in questo senso, ma nei quali anzi abbiamo assistito a una ulteriore escalation: è di fine febbraio la “strage del pane”, nella quale più di cento palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano di accaparrarsi delle provviste alimentari; la minaccia di carestia è diventata nel frattempo realtà, con la morte di diverse decine di bambini per mal- e denutrizione; la “curva” dei morti civili continua a crescere (siamo a circa 33mila, di cui almeno 13 mila bambini), gli sfollati sono un milione e mezzo (il 75 per cento della popolazione); e l’attacco via terra a Rafah (dove quegli sfollati si sono accalcati in questi mesi, lì spinti proprio dall’avanzata dell’esercito israeliano nel Nord della Striscia) pare sempre più imminente.
Una escalation che ha condotto la stessa Corte internazionale di Giustizia a emettere una nuova ordinanza pochi giorni fa per ribadire l’obbligo di Israele di rispettare la sua precedente decisione sottolineando che “le sue ordinanze sulle misure provvisorie ai sensi dell’articolo 41 dello Statuto hanno effetto vincolante e quindi creano obblighi giuridici internazionali per qualsiasi parte destinataria delle misure provvisorie”. Come del resto vincolante dovrebbero essere le risoluzioni del Consiglio di Scurezza dell’Onu, come quella che finalmente, grazie all’astensione degli Usa, è stata approvata il 25 marzo scorso per un immediato cessate il fuoco a Gaza. Da quel giorno però nulla è cambiato sul campo, anzi: Israele ha persino ampliato il fronte di guerra colpendo bersagli iraniani in Siria; e di pochi giorni fa è la strage degli operatori umanitari della Ong World Central Kitchen. E proprio in seguito a quest’ultima strage, pare che Biden abbia ulteriormente alzato i toni con Netanyahu, il quale come contentino ha concesso di aumentare gli aiuti umanitari a Gaza.
Ma è del tutto evidente che né le decisioni degli organismi sovranazionali né il biasimo che si va diffondendo sempre di più a livello globale anche fra alleati storici di Israele giochino un ruolo decisivo nelle scelte del governo Netanyhau e che dunque l’unico modo per far rispettare queste decisioni sono atti concreti: l’immediata sospensione di ogni aiuto militare a Israele e l’imposizione di una soluzione politica che riconosca i pieni diritti civili e politici ai palestinesi. Anche perché sta diventando davvero insostenibile l’ipocrisia di chi con una mano fornisce ingenti aiuti militari a un Paese che ormai a detta di tutti gli osservatori internazionali ha completamete perso qualunque senso delle proporzioni e del limite e con l’altra lancia coi paracaduti aiuti umanitari a quella stessa popolazione che con quelle armi viene massacrata e affamata.
L’invio di armi a Paesi terzi è sempre subordinato all’uso che quei Paesi ne fanno. Da due anni ogni decisione sull’invio di armi in Ucraina è – giustamente – preceduto da estenuanti dibatitti su cosa gli ucraini possono o non possono fare con quelle armi. E stiamo parlando di un Paese invaso dai carri armati e bombardato dalle forze aree di una delle maggiori potenze militari mondiali, dotata anche di armi nucleari. La stratosferica disparità fra le forze russe e quelle ucraine è tale che – a prescindere da cosa si pensi del sostegno militare a Kiev – è chiaro a tutti che qui si sta aiutando Davide contro Golia.
Il caso di Israele è completamente diverso (come del resto la decisione del governo italiano di sospendere nuovi accordi per l’invio di armi dopo il 7 ottobre implicitamente dimostra, anche se l’invio pare sia continuato in virtù di accordi precedenti). Israele sta rispondendo con una potenza di fuoco spropositata e nella forma di una punizione collettiva (vietata dal diritto internazionale) a un brutale attacco terroristico. E sta sfruttando la retorica del “diritto di difendersi” per portare avanti un piano che in alcuni ambienti della società e della politica israeliane circolava già da ben prima del 7 ottobre (e che dunque per definizione con il 7 ottobre non ha niente a che fare): su MM+ di questa settimana pubblichiamo un impressionante articolo di Peter Beinart uscito su Jewish Current esattamente un anno fa (ben prima del 7 ottobre, dunque) che metteva in guardia esattamente dai preoccupanti segnali che serpeggiavano già allora relativi a una possibile nuova Nakba, una nuova espulsione dei palestinesi dalla Striscia di Gaza dopo quella del 1948.
Nel suo Per la pace perpetua Immanuel Kant considerava una guerra legittima solo a una condizione: che non venissero minate le condizioni per una pace futura. Massacrare un’intera popolazione e costingerla all’esodo di massa è un modo certo per impedire qualunque ipotesi di pace.

CREDITI FOTO: 2 aprile 2024, Londra: Manifestazione davanti al Foreign and Commonwealth Office per chiedere al governo britannico di interrompere la vendita di armi a Israele, finanziare gli aiuti a Gaza e un cessate il fuoco immediato. (Credit Image: © Tayfun Salci/ZUMA Press Wire)



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